È un bisogno, una sensazione sottile, ma intensissima che ha nutrito entrambi, a volte in modo inquietante, a volte meno pregnante, ma sempre con la necessità di essere placata.
Si chiama curiosità, si chiama conoscenza, si chiama voglia di sapere adesso e subito, nell’unica occasione di vita che ci è stata concessa.
Questo bisogno è stato compagno di vita, affascinante e complesso, che ha creato fratture e divari tra noi e gli altri, negli anni ‘60 ‘70, ma sì anche negli anni a seguire…sempre.
Sono i libri ad aver confezionato i pensieri o sono i pensieri ad aver cercato certi libri?
Sono due realtà contrapposte: la prima attiene ad un “banale” percorso intellettuale, la seconda coinvolge sfere inesplorate proprie dell’uomo ma sconosciute perfino a sé stesso.
Dilemma irrisolvibile a testimoniare che solo frammenti di conoscenza e piccoli squarci di verità ci è dato sapere.
E quando la mente va in cerca di risposte ripercorre la dimensione tempo a ritroso, agli albori della vita e poi sbircia timidamente in quel tempo futuro che promette innovazioni, scoperte scientifiche, nuovi habitat in nuovi mondi.
Platone descrive in Cratilo XVII b,c, la bellissima etimologia suggerita da Socrate: “Questo nome antropo (uomo) significa che, mentre gli altri animali sulle cose che vedono non indagano, non congetturano, non osservano attentamente, l’antropo, nel momento stesso che vede, ragiona su ciò che ha visto, indaga”
L’umanità è stata dunque caratterizzata da costanti tendenze: soddisfare il proprio corpo nutrendolo, proteggendolo, soddisfare la propria mente ampliando le conoscenze, soddisfare la propria anima affidandola a un potere divino. E l’ego individuale accolse il sociale perché elemento fondamentale per la sopravvivenza e la riproduzione.
Miti e credenze abituarono piccoli gruppi e comunità sempre più ampie a pensare allo stesso modo definendo confini geografici, confezionando religioni di Stato, confraternite, partiti politici, gruppi di potere.
Questo agglomerato sociale, più o meno esteso, ha creato nel tempo quel senso di appartenenza che chiamiamo “popolo” con una sua specifica e ben definita “cultura”.
La polis va gestita allora secondo i cardini propri di essa, nella sua complessità, per soddisfare il suo costante bisogno di progredire.
E‘ la cultura che prospetta ai giovani nuovi approdi e crea unione, solidarietà, collaborazione, produzione, promuove la ricerca in ogni campo finora a noi noto.
Quando la politica non sollecita soltanto aridi interventi puramente cosmetici del territorio, quando l’intelletto sa intravedere sviluppo e progresso, allora e solo allora ogni membro della comunità potrà sentirsi parte di essa.
Ritorna imperioso il senso di appartenenza e appartenere significa partecipare.
È il momento che la visione
diventa realtà.
Sandra Raspetti
Giampiero Raspetti