Lo conosciamo così e così sembra sia sempre stato, ma ha sonnecchiato, si è risvegliato, ha esaltato la vita, ha assistito alla morte…e i millenni sono passati.
Si chiama Terra: è un pianeta.
La sua nascita fu travagliata, ma nell’immensità dell’universo fu la benvenuta.
Ha seguito il suo percorso in un tempo indefinibile, su un binario invisibile, senza deviare, senza deragliare, ma al suo interno niente è mai rimasto inalterato.
Solo di essa, tra miliardi di corpi celesti, vaganti nell’immenso vuoto, possiamo ricostruirne la storia e cercare di penetrare il grande mistero della vita fin dai suoi primordi. Non è immaginabile il travaglio che il pianeta subì per un tempo incommensurabile, finché le condizioni in qualche modo stabilizzate, resero possibile il primo alito di vita.
Ma è pur sempre un pianeta inquieto. Catastrofi geologiche come alterazioni climatiche si sono susseguite in modi e tempi impossibili da comprendere per l’estensione temporale: almeno 5 glaciazioni trasformarono la morfologia del pianeta e l’evoluzione di organismi viventi che nelle acque ebbero il “ventre” che le accolse, le nutrì. L’ultima, grande era glaciale durò circa 120 milioni di anni e l’asse terrestre subì uno spostamento del polo sud dall’Africa meridionale a sud dell’Antartide.
Contemporaneamente nella Laurasia, continente che circa 200 milioni di anni fa comprendeva l’America settentrionale, la Groenlandia e gran parte dell’Europa occidentale, si formavano grandi foreste investite da clima tropicale.
E mentre la Terra continuava il suo viaggio nello spazio, al suo interno, movimenti tellurici ne cambiavano il volto: terra e acqua si scontrarono per assicurarsi un loro posto stabile . La Pangea-unica massa continentale-separò pezzi di sé e, come un immenso puzzle, tassello dopo tassello, configurò la Terra così come la conosciamo
Quanto tempo occorse? Ai livelli dell’incommensurabile, il tempo non ha più importanza.
Grazie, Terra, da ogni micro e macro organismo che sul tuo suolo transita, nelle tue acque sguizza, nell’atmosfera si libra, grazie per averci accolto, “ospitato”. Questa è la parola chiave.
Otto miliardi di individui transitano nel pianeta e per tutto il tempo di vita si illudono di essere possessori ed anche dominatori di qualcosa che sopravviverà a loro stessi.
L’essenza di onnipotenza si annida nell’essere umano ed è questa sensazione che lo fa sentire padrone del territorio, non ospite. Padrone di muoversi secondo i propri bisogni, i propri tempi, le scelte di vita ritenute prioritarie anche se dannose alla comunità, all’ambiente, in una parola, al benessere del pianeta.
Quando un territorio viene sconvolto, non da bombaroli di turno, non da un sisma che è insito nella naturale trasformazione geologica, non da una eruzione di lava che segue leggi naturali, ma da fenomeni atmosferici, pioggia, neve, assolutamente indispensabili alla vita del pianeta, allora è il momento di fermarsi, farsi qualche domanda, darsi qualche risposta.
Un’alluvione, uno smottamento del territorio, una esondazione che tutto distrugge, è un evento apocalittico che ha la sua matrice in leggi cosmiche, come ce ne sono state da sempre fin dai primordi? E’ un evento che prelude a cambiamenti atmosferici da imputare all’opera dell’uomo tesa alla totale distruzione del pianeta? Oppure è più, terra terra, inadeguetazza, incapacità di amministratori locali che non sanno prevedere, prevenire, salvaguardare il territorio , individuare i punti critici ed intervenire per evitare situazioni devastanti?
Sì, la vita terrestre potrebbe scomparire o trasformarsi come da sempre è stato, potrebbe, la Terra, abbandonare il suo posto nel cosmo quando il sole collasserà e luce e calore verranno meno, potrebbe subire ancora fenomeni come la glaciazione, l’inversione del campo magnetico, la deriva dei continenti od altro non immaginabile e tutto ciò non può essere fermato.
L’attenzione allora va a quel fragile habitat che ci ospita, un ecosistema trascurato, ignorato da uomini che in esso vivono senza sapere, senza conoscere, senza capire che non è la ricchezza, l’agiatezza individuale che contano per la sopravvivenza della specie, ma l’equilibrio con la natura.
E’ questa la sfida del nostro tempo: un esercito di uomini in marcia per difendere un territorio vasto quanto un pianeta, senza confini, senza barriere, senza armi, con un solo scopo: salvarci
Sandra Raspetti