UNIVERSITÀ: QUALI PROSPETTIVE NEL PANORAMA ITALIANO. E A TERNI?

Una consistente presenza universitaria rappresenta, per qualunque città, un importante motore di sviluppo per molteplici motivi: promuove e diffonde cultura e competenze, favorisce la formazione dei giovani, richiama studenti e docenti generando un indotto economico collaterale, crea occupazione, può interagire con lo sviluppo d’impresa locale. Vogliamo perciò approfondire il tema a scala nazionale e nel contesto del Centro Italia. 

In Italia tra statali, pubblici non statali, strutture di alta formazione, privati e telematici sono attualmente attivi 101 atenei. Sono 65 quelli statali e pubblici, 17 quelli privati, statali le 8 Scuole di alta formazione. Ben 39 strutture statali e pubbliche sono state fondate dagli anni ’50 in poi, 17 delle quali nel meridione, con iniziative sempre partite dai territori e dalle loro istituzioni, sostenute dagli atenei storici; da ultima Enna, 25.000 abitanti, remoto capoluogo della Sicilia più interna, ha realizzato una ‘sua’ università, con tanto di Facoltà di Medicina, con un’iniziativa locale sostenuta da altri atenei siciliani. 

Dal punto di vista della connotazione tipologica, bisogna distinguere tra:

atenei a vocazione ‘generalista’ caratterizzati da un’offerta formativa ad ampio spettro disciplinare; rappresentano i tre quarti degli atenei, sia storici che di più recente fondazione; lo sono tutti quelli telematici; 

atenei a vocazione ‘specialistica’ o ‘orientata’ caratterizzati, all’opposto, da un’offerta formativa incentrata su settori specialistici e tematiche specifiche;

scuole ed istituti di alta formazione, prototipale è la Normale di Pisa, aumentate in tempi recenti. 

Dagli anni ‘70 in poi, quasi tutti gli atenei, soprattutto quelli generalisti statali, hanno attuato un diffusissimo processo di decentramento, particolarmente ampio nel settore delle professioni sanitarie; i Comuni che, come Terni, attualmente ospitano corsi decentrati sono ormai quasi 200; un terzo di questi ha una popolazione inferiore a 30.000 abitanti. Ben 18 località sede di una propria università ospitano anche corsi afferenti ad altri atenei, talora extraregionali.  Altri 30 comuni ospitano corsi afferenti a due o più università, anche extraregionali; a Cremona sono compresenti ben quattro atenei, a Mantova e Taranto tre. Siamo dunque di fronte ad un panorama nazionale di decentramento diffusamente sviluppato fuori da schemi locali e regionali chiusi e rigidi, libero ed aperto a molteplici e diversificate soluzioni. Nessuna università è obbligata ad attuare un decentramento; del pari, a nessun contesto è vietato sviluppare partnerships extraregionali o diversificate, purché non si propongano doppioni. 

Pochi atenei hanno decentrato sub-entità consistenti.  Quanto ai contenuti, prevale una realtà di corsi duplicati e raddoppiati; manca una connotazione distintiva anche laddove la consistenza è maggiore, di rado si tratta di facoltà o dipartimenti. Per contro, l’Università di Modena è diventata di Modena e Reggio Emilia.  Bologna ha attuato un ampio decentramento nella Romagna. Sono nate anche Università policentriche e diffuse: l’Università del Piemonte Orientale su Novara, Alessandria e Vercelli; l’Università dell’Insubria su Como e Varese; la D’Annunzio su Chieti e Pescara; la “Campania-Vanvitelli” ha dislocato fuori Napoli ben 9 Dipartimenti su 16; Camerino ha attuato uno sviluppo policentrico differenziato. 

Negli ultimi anni, sull’onda della pandemia, sono state attivate nuove Facoltà di Medicina a Lecce, Potenza, Enna ed Acquaviva delle Fonti; alle 11 sedi di Medicina decentrate già esistenti, tra cui Terni, si sono aggiunte Forlì, Ravenna, Piacenza e Taranto. Ben 13 sono configurate come Corsi di Laurea autonomi; mentre a Terni e Caltanissetta si tratta di semplici corsi decentrati. 

Esaminando l’Italia Centrale, nella regione Lazio l’Università della Tuscia, nata come tante altre nuove Università italiane per iniziativa locale, ha ormai sviluppato un’offerta formativa piuttosto ampia e diversificata. Negli ultimi anni sta maturando anche il polo di Rieti, denominato Sabina Universitas, che ospita corsi decentrati della Sapienza e della Tuscia: l’offerta formativa ricomprende oggi sei corsi di laurea e tre masters nell’area delle professioni sanitarie, tre corsi di laurea ed un master nell’area di ingegneria, due corsi di laurea nell’area agrario-forestale. È nata inoltre l’università del Lazio meridionale insediata a Cassino e la Sapienza ha sviluppato un discreto polo universitario a Latina.  Nella regione Marche, alle tre piccole università preesistenti di Urbino, Camerino e Macerata, si è poi affiancata Ancona col supporto di Urbino. I quattro atenei hanno concertato uno sviluppo coordinato, realizzando un’offerta formativa ampia ed un diffuso decentramento. In Toscana è rimasto invece l’assetto storico: Firenze, Pisa e Siena.  Alla Normale di Pisa si sono però aggiunte le Scuole di alta formazione Sant’Anna a Pisa ed IMT a Lucca col sostegno di Pisa e s’è sviluppato un decentramento. Quanto all’Abruzzo, i tre atenei sono nati tutti nel secondo dopoguerra: L’Aquila, la D’Annunzio a Chieti-Pescara e Teramo; l’Aquila e Chieti hanno entrambe la Facoltà di Medicina; a L’Aquila è stata di recente aperta la scuola di alta formazione del GSSI. 

Non si può sottacere che Terni è oggi uno dei 12 capoluoghi di provincia aventi una popolazione superiore a 100.00 abitanti che non sono sede di una propria università.  Va osservato, a posteriori, che la sua grande occasione, Terni avrebbe potuto coglierla negli anni 50-60, quando rappresentava il più importante centro industriale del centro-sud e ospitava già importanti attività di ricerca industriale, culminate con il Premio Nobel a Giulio Natta.  C’erano ampie premesse per fondare, se non un Politecnico, una ‘sua’ Università a vocazione scientifico-tecnologica.

L’attenzione della città era però concentrata sulla formazione tecnico-professionale, importante ma meno strategica di quella universitaria ai fini del consolidamento e dello sviluppo del settore industriale. Peraltro, all’epoca, Perugia era ancora molto debole nel settore scientifico. 

Quanto alle possibili direttrici di sviluppo, il piano europeo post-pandemia Next Generation UE, da cui sono scaturiti il PNRR ed il corposo finanziamento per l’Italia, pone espressamente questo obiettivo e richiede un incremento dell’accesso alla formazione universitaria, l’innovazione nelle metodologie formative e l’ampliamento dei contenuti formativi verso esigenze emergenti.  

Allo stato attuale, risultano minimali gli spazi di sviluppo per una didattica disciplinare di tipo tradizionale e basati su un generico decentramento. Se si intende ricercare un concreto sviluppo in questo settore, vanno dunque avanzati progetti realmente innovativi e fortemente rispondenti alle esigenze irrisolte del nostro Paese. Lavorare su questo terreno significa anzitutto ricercare spazi ancora aperti, sia per la formazione universitaria che per l’alta formazione, su aree e tematiche di carattere trasversale, approfondire quindi attentamente le ipotesi e, se validate, sviluppare progetti. Su questi presupposti, la nostra Associazione ha lanciato da tempo una specifica proposta per la Valnerina, incentrata sul tema quanto mai attuale della salvaguardia, della valorizzazione e dello sviluppo sostenibile dei territori interni e montani dell’Italia appenninica, attraverso la creazione di una struttura diffusa avente finalità di formazione, ricerca e consulenza ai territori; percorsi che richiedono un’intensa integrazione metodologica orizzontale – formativa, progettuale ed operativa – tra le molteplici specificità professionali in ciascun caso coinvolte. Non si sono avute risposte. 

Se si vuol puntare sul settore universitario bisogna dunque allargare il nostro orizzonte, proporre iniziative innovative e distintive, ricercare le partnership più strategiche e disponibili, magari anche estere, lavorare sull’esempio delle esperienze più avanzate. Possono essere altresì ricercate sinergie con la vicina Spoleto, che ha potenzialità attrattive.

Roberto Ruscica