Il grigio, come ogni colore, ha mille sfumature in modo che l’occhio possa posarsi anche sulla striatura più chiara che conduce alla luce: uno spiraglio che rinnova, che fa intuire un pulsare di vita, la speranza di un sorriso, lo slancio fanciullesco che tutto rinnova. Ma è solo grigio, ormai, senza sfumature, il velo sospeso su una città dormiente.
Una storia millenaria che ha inizio sulle sponde di due fiumi, in radure verdi, in una terra ospitale dove spargere sementi, pronte a germinare. Un popolo in cammino arrivò nella valle delle acque, un luogo incantato dove mettere la “prima pietra”. Altri popoli calpestarono le zolle della valle e tante culture diverse si integrarono. Un’osmosi di tradizioni, di costumi che determinarono una nuova identità culturale, una sua essenza che da secoli si perpetua e la fa essere, con orgoglio, la nostra città.
Quanto detto è solo una premessa per ricordare sommariamente le antiche vestigia che la storia di Terni ci ha tramandato. Era una città vibrante e come colonia di Roma ha avuto le opportunità concesse a tutti i popoli dell’impero. Ma il tempo trasforma, da un’era si esce per entrare in un’altra, le generazioni si susseguono e, attraverso secoli, molto si distrugge, molto si rinnova, poco si conserva. Resti di opere immortali che, nel non voler morire, ricordano all’uomo di oggi, la sua inettitudine, l’incapacità di penetrare la storia, di restituire quanto è possibile, al suo antico splendore. C’è una Terni in superficie e una Interamna sotterranea, una città alla deriva ed una destinata all’eternità. C’è una Terni che ha saputo sfruttare ogni risorsa: acqua in abbondanza, territorio pianeggiante, posizione strategica, una città che ha saputo fondare uno dei più importanti complessi siderurgici italiani.
E qui la storia cambia. Fuori la cinta muraria si costruirono case, strade, ferrovie per accogliere e favorire una nuova realtà ormai protesa al futuro. Sarà la seconda guerra mondiale a stroncare una civiltà fiorente, una città di grande importanza per la gente della vallata. I bombardamenti non colpirono soltanto le acciaierie, la fonte primaria che garantiva armamenti bellici, ma distrussero l’anima di un popolo che dovette affidarsi alla sua storia millenaria, alla sua tenacia, alla sua laboriosità per risorgere dalle macerie. Negli anni avvenire la vita riprese e tornò a battere il cuore generoso, accogliente di un popolo semplice e operoso.
L’industria riprese i suoi ritmi, il lavoro consentì un tenore di vita mai avuto in precedenza, l’economia esplose e Terni si avvalse dell’ingegno umano per tornare a vivere.
Ma l’umanità, a periodi, si crea i suoi momenti bui che, al pari della guerra, procurano impoverimento culturale, disgregazione dei cardini etici su cui una società si fonda con la conseguenza di spazzare via tutto quanto nel tempo era stato costruito. Adesso siamo a questo punto: una città sepolta dall’inedia, dall’aridità intellettuale, dall’incapacità di intravedere soluzioni che permettano ad essa di risorgere. Uno sguardo su Terni, impoverita economicamente e lacerata moralmente, avvolta da una nube opaca. È triste camminare per la città, è avvilente trovarsi di fronte ad un negozio per volerci entrare e trovarlo chiuso, procedere lungo file di serrande abbassate ormai da anni. Sono saltati i punti di riferimento, i luoghi di incontro da sempre frequentati appaiono nella desolazione del “nulla è più”. È pericoloso camminare per le strade: ogni buca, ogni rattoppo, ogni pietra divelta è un atto d’accusa.
Il Mercato coperto che, dai lontani anni ‘60, ogni mattina, animava la città tutta, è ancora lì, ma chiuso, ormai al massimo del suo squallore. Tutta l’area era il centro nevralgico della città e le vie, le piazze limitrofe vivevano di luce riflessa. I negozi, con merce di pregio costituivano un richiamo per la popolazione tutta. C’era il piacere di venire in centro e il corso, arteria principale della città, viveva di voci e di colori: di mattina arrivavano, con bus urbani, le donne dai borghi, dai villaggi e riempivano le borse, al mercato, con gli ortaggi freschi della campagna; nel pomeriggio, verso sera, aveva inizio lo “struscio: il centro popolato dai giovani che, con fare noncurante e una finta sicumera, sbirciavano tutt’intorno alla ricerca di lei o di lui. Il mercato, sia pure nelle sue dimensioni ridotte, nella sua semplicità, era pur sempre quella “piazza delle erbe” che in ogni luogo, in ogni tempo, ha rappresentato un centro di incontro della gente, un mondo festoso di chiacchiere, ciacole, ciance, un’agorà per ritrovarsi ogni giorno e sorridere al sorriso dell’altro. Era anche il luogo che accoglieva ogni mattina, i prodotti della terra, terra nostra al di là delle mura, sempre più lontana dalla città, ma benefica e madre come chiunque offra il cibo per nutrirti.
Vecchi ricordi, scherzi di una mente che ha bisogno di ricordi per sopravvivere: vale per uomini, vale per luoghi e Terni muore perché si è chiuso, da tanti anni ormai, il sipario sul futuro, sul lavoro dei giovani, sui negozi stroncati da balzelli vari, su luoghi oltraggiati dall’incuria, su edifici non da demolire, ma da conservare, sul mercato coperto che ha spento le sue luci tanti anni fa e con esse ha spento l’intera città. Una prece.
Sandra Raspetti