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UNA CITTÀ CONDIVISA

Qualche mese fa mi sono stirato i legamenti di un ginocchio, scendendo dal treno per la mancata apertura dello scalino aggiuntivo. E mi sono reso conto come dalle parti dello Stadio, dove vivo, ci sia scarsa tolleranza per chi zoppica, però siamo in tanti a claudicare, chi per trauma chi per problemi congeniti. Bisogna attraversare velocemente e togliersi di mezzo. Viale dello Stadio è un’incongrua autostrada urbana, progettata insieme allo stadio stesso negli anni ’60, dove col crescere del traffico è diventata difficile ogni possibile socialità. I giardinetti pubblici, che ricordo pieni di gente qualche decennio fa, ora sono inaccessibili per la zona di sicurezza dello Stadio. La strada, specie dopo l’apertura recente del PalaTerni ed attiguo centro commerciale, è diventata un flusso ininterrotto di traffico, anche nervoso ed irrispettoso. Speriamo nel sottopasso di via Aroldi, che sarà pronto l’anno prossimo. Devo anche notare come, nonostante ripetuti solleciti, non si sia riusciti ancora a spostare di poco le due barriere di cemento (i cosiddetti New Jersey) che chiudono l’accesso al centro commerciale lato San Martino, per cui pedoni, ciclisti e carrozzine devono tutti passare in mezzo alla strada.

Autostrada urbana è un ossimoro, perché non si può vivere lungo un’autostrada. Negli anni ’30 Le Corbusier enunciava la città stellare, la Ville Radieuse, con tutte le attività e quasi tutti i posti di lavoro concentrati nel centro ed i quartieri residenziali immersi nel verde e collegati col centro da autostrade urbane. Non molto diverso da quello che vivono a Borgo Rivo-Gabelletta, dove, affacciandosi in fondo a via del Rivo, ci sono un paio di chilometri di superstrada per arrivare allo stadio, di fatto proibita ai pedoni e quasi impossibile per i ciclisti (anche se vedo spesso i ragazzi che fanno consegne avventurarvisi). Con la differenza che noi questo disastro l’abbiamo realizzato mezzo secolo dopo Le Corbusier (che, figuriamoci, preconizzava anche che sarebbero spariti i marciapiedi per manifesta inutilità e che lo spazio tra i quartieri immersi nel verde e la città sarebbe rimasto libero da costruzione, due cose sulle quale il tempo non gli ha dato ragione).

Forse qui a Terni (ma Roma non è molto diversa) non abbiamo preso nota del fallimento delle autostrade urbane, in un mondo che invecchia e che vuole essere inclusivo anche per chi non ha l’auto o non può più guidarla. Infatti, in buona parte d’Europa, le autostrade urbane stanno venendo trasformate in qualcosa di più condiviso con spazi per pedoni e ciclisti, ed in generale per la vita fuori dall’automobile. Leggevo qualcosa di abbastanza vicino a noi: la riprogettazione, faticosa ed attuata per fasi, di rue Garibaldi a Lione, una strada lunga 3650 metri, mentre l’asse Stadio-Aleardi arriva a circa un chilometro, ma di larghezza paragonabile, ed attorniata da edifici fino a 20 piani, mentre a viale Aleardi arriviamo a 15, ma il concetto è lo stesso.
Dunque, a rue Garibaldi, larga tra i 24 ed i 36 metri, perfettamente come viale dello Stadio, le corsie carrabili si sono ridotte a due ed il resto è occupato da un grande percorso ciclo pedonale, una specie di giardino lineare. E’ stato suggestivo per me, perché certe cose finché si fanno agli Champs Elysées, che sono larghi fino a 100 metri, non sono indicative per Terni, ma in questo caso direi di sì.

Non mi dispiacerebbe una soluzione del genere, da noi abbiamo il vantaggio di non avere parcheggi lungo la strada, tranne che durante la partita (cosa che trovo un deplorevole lassismo, devo dire), e dei bei lecci, specie dopo la recente potatura. Forse finalmente ci siamo resi conto che essenze più locali sono meglio.
I pini stanno sparendo lentamente, a volte purtroppo in modo doloroso ed improvviso, come è stato per la pineta Centurini (a proposito, quando si ripianta qualcosa in quel luogo bellissimo e suggestivo, oltre che storicamente rilevante?). Ma le essenze della famiglia Quercus (querce, lecci, farnie, roverelle…) si integrano bene, poi ci sono aceri, platani, olmi ed i Prunus (ciliegi, ma anche peschi e mandorli), come ci sono alberi che si sono adattati favorevolmente, per esempio i tanti diospiri della zona di San Martino.

Più in generale, c’è una diversa attenzione alla città, come dimostrato dagli allestimenti delle rotonde ed in particolare poi dalla sistemazione delle statue, anche in bronzo, in vari luoghi della città, in certi casi molto riuscite secondo me, come l’Abbraccio infinito di Mark Kostabi a largo Villa Glori, o come la più controversa Luv.u. di Giampiero Malgioglio a via Bramante. La stessa spina di viale dello Stadio è un seguito di opere artistiche, dall’Hyperion di Agapito Miniucchi ad E-Terni di Giuseppe Marianello per culminare nella Lancia di Luce di Arnaldo Pomodoro, peccato vederle così accerchiate dal traffico.

Sono per una città accogliente e vivibile, dove le auto sono tollerate, ad una velocità accettabile (e sono sicuro che presto diventiamo una città 30) e con dovuto rispetto per le altre componenti (pedoni, ciclisti e naturalmente chi ha qualche piccola o grande disabilità, che lo costringe a richiedere attenzioni specifiche). La città dell’automobile, preconizzata nelle teorie sulla Ville Radieuse, è stata un drammatico fallimento, come la sua tardiva gemmazione, l’autostrada urbana, e chi per esempio abita su corso Francia o sull’Olimpica a Roma, costruita al posto dell’anello ferroviario, sa bene cosa intendo. E’ ora di prenderne atto ed andare avanti con la riprogettazione condivisa, ascoltando i residenti, con particolare attenzione per le categorie più deboli.

Carlo Santulli 

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