Un poeta sempre attuale: Antonio Pecorelli

Antonio Pecorelli, poeta dialettale ternano, racconta la realtà con ironia e passione civile.

Nel riordinare lo scaffale dove sono riposti i libri di poesia dialettale della nostra città, mi sono imbattuta nei “Sonetti Ternani” di Antonio Pecorelli, pubblicato nel 1968. Sono questi anni di passioni politiche e culturali: la guerra in Vietnam e le prime proposte di tregua, le contestazioni giovanili e le occupazioni delle scuole, la Guerra Fredda. A Terni continuava la tradizione della poesia dialettale che aveva avuto i suoi maestri in Furio Miselli e Ferruccio Coen.

Diverse generazioni di poeti si confrontavano, vi erano quelli più in là con gli anni, favorevoli ad un dialetto arcaico e quelli che sostenevano il dinamismo della lingua, più vicina alla parlata attuale del popolo. Di lì a poco nasceva il teatro dialettale di Brogelli che tanto successo ha avuto a Terni e non solo, per alcuni decenni. Numerosi incontri dedicati alla poesia dialettale e a quella in italiano vennero organizzati in questo periodo tra gli anni Sessanta, Settanta e anche Ottanta. In uno di questi raduni poetici ho conosciuto Antonio Pecorelli.

Alto, apparentemente burbero, baffetti e chioma bianca, giacca blu, era sempre presente a queste riunioni. Leggeva da solo le sue poesie con piglio deciso, scandendo le parole che erano a volte autentiche staffilate all’orecchio di chi ascoltava. Spesso erano condite da un linguaggio colorito, sanguigno, efficace ma poco salottiero. Mi appariva una mosca bianca in quel numeroso gruppo di poeti. E lui lo sapeva. Era consapevole della sua diversità che non significava superiorità o inferiorità. La sua umanità era diversa, le sue tematiche erano diverse, i suoi interessi erano diversi.

Nel suo libro, edito nel 1968, polemizza, non del tutto scherzosamente, con un altro poeta ternano, Alighiero Maurizi in un sonetto dal titolo “I poeti moderni” –

“C’è l’Alighieru che me fa accorà

quanno lo leggo,

io non lo zo capì;

dice che s’è straccatu de campà

e per quistu motivo, vo’ murì”.

Ecco, è palese la sua lontananza da una poesia inserita in un cliché letterario che si autocelebrava piuttosto che rappresentare una realtà dura ma vera.

Le sue poesie hanno tematiche sociali e politiche: la guerra in Vietnam, la sua emigrazione da Terni dopo i licenziamenti, la libertà vigilata della Cecoslovacchia, l’antiamericanismo convinto nel tempo della Guerra Fredda, la rivoluzione in Grecia. Forte la sua diffidenza verso i salotti letterari e verso un linguaggio aulico troppo lontano dalla realtà quotidiana. Il figlio Fabio ha cercato di mantenere viva la sua memoria organizzando Reading di sue poesie in diverse occasioni. Anche “La Pagina” ha ospitato nel 2016 la presentazione del libro di poesie di Antonio “Vestito blu”, con l’aiuto del figlio e della nipote. Perché ricordarlo ancora oggi? Perché viviamo altri tempi di passioni politiche. Guerre, tentativi di pace sono di estrema attualità e un sonetto mi ha colpito particolarmente. Sembra scritto oggi…

Autosufficienza

La pace chi la vo’?! tutti li stati

e governi de tutte le nazioni:

però, missili atomichi e cannoni

l’un contro l’andru tengono puntati.

Per esse forti e meju preparati

‘mmucchjono bomme atomiche a vagoni,

(ma noi c’emo da fa’ co’ le canzoni

a ‘sti problemi ‘n semo ‘nderessati).

E se pur ‘anghe quarchidunu sferra,

(sempre per la gran causa della pace)

quarche atttaccu, che po’ trasforma in guerra

noi, sopra a ‘sto gran lettu de bambace,

aspettamo incoscenti che la terra,

diventi un giorn’o o l’andru, ‘na fornace.                       

9 giugno 1967

Anna Maria Bartolucci