Quando una città perde la conoscenza del suo passato, delle sue radici, l’orgoglio della sua storia e della sua cultura, è destinata a perdere la sua identità, la sua unicità, la sua memoria collettiva e lo stesso senso di appartenenza a una comunità, a tradizioni, a valori.
Terni è stata troppo spesso considerata una città priva di storia, di eccellenze archeologiche e artistiche, di beni culturali. La sua immagine -e dunque la sua identità- è legata soprattutto alla storia recente, cioè all’essere divenuta a metà dell’800 una città industriale. Un evento questo che ne ha cambiato il volto economico, urbanistico, sociale, demografico e che ne ha fatto sicuramente uno dei massimi distretti industriali a livello europeo.
Ricordiamo le parole di Virgilio Alterocca: “In questo breve periodo Terni parve … un dipartimento inglese condensato in pochi chilometri quadrati e assunse … il lusinghiero appellativo di Manchester italiana.” Ricordiamo anche che dire “la Terni” significava dire “Acciaieria”. Quindi Terni città operaia, industriale, moderna, ma anche piatta e insignificante. Questa è l’immagine prevalente, quella che conoscono i nostri giovani, purtroppo oggi connessa anche alla crisi delle industrie e quindi ai problemi del lavoro.
Senza voler sminuire la portata rivoluzionaria dell’industrializzazione e non negando quanto essa abbia contribuito allo sviluppo della città, vorremmo ricordare che sono molti gli elementi che compongono l’immagine di Terni, antica e sfaccettata, complessa e multiforme, ricca e importante, per certi aspetti unica: un’identità e una storia di un luogo che ci è caro di cui dovremmo tornare ad essere orgogliosi.
Quanti sanno che è la sua storia antica a fare di Terni una città singolare e importante? Posta in una pianura ricca di acque e di vie di comunicazione, fu abitata fin dai tempi remoti come attesta la vasta necropoli dell’Età del Bronzo e del Ferro -Luigi Lanzi parla di ben 2500 tombe- venuta alla luce all’epoca della realizzazione delle Acciaierie (i resti sono nel Museo Archeologico): questo la rende una delle più vaste aree archeologiche d’Italia e d’Europa e tale è stata la sua importanza che lo storico Massimo Pallottino, uno dei massimi studiosi di civiltà antiche, parlò di una vera e propria “Cultura di Terni”.
L’antica Interamna Nahars (città tra le acque della tribù dei Naharchi) fu, come la definisce lo storico Floro, uno “splendido” municipio romano. A parte l’anfiteatro e i reperti collocati nel Museo Archeologico, sono pochi i resti tuttora visibili. Un Anonimo del ‘700 così scriveva: “Tutto risente oggi dell’antica Roma; vediamo ad ogni passo frammenti di colonnate di marmo, busti spezzati, iscrizioni. Tutto denota che Terni era un tempo una città celebre”. Per rendersi conto della grandezza dei monumenti romani riportiamo le parole dell’Angeloni relative alle antiche terme: “Portici e Torri spaciosissime, e larghissimi tetti, e palchi sopra palchi, e pavimenti di varie forti pietre, e di splendidi marmi connessi… ordini di colonne grandissime, che archi smisurati sostenevano, con larghe finestre di vetro e di trasparenti pietre…”.
Ed ecco poi un’altra immagine di Terni, la città che rimase pressoché invariata fino a metà dell’800 e che rivela un grande patrimonio artistico e culturale: fu la “città dalle belle torri” (gli storici parlano di 300), con “… strade mattonate e piazze e palazzi superbissimi” (Mezenzio Carbonario) come Palazzo Spada (progetto di Antonio Sangallo il Giovane) e Mazzancolli, di chiese di pregio (San Francesco, San Salvatore, San Pietro, Sant’Alò, San Cristoforo, il Duomo, San Valentino).
Eccelse nella pittura: dalla cappella Paradisi della chiesa di San Francesco con la drammatica rappresentazione del Giudizio Universale (metà ‘400-Bartolomeo di Tommaso) al modernissimo pittore naif Orneore Metelli, cantore della tradizione. Dalla grande pala dei Francescani di Piermatteo d’Amelia, alla piccola e preziosissima pala di Benozzo Gozzoli. I palazzi e le chiese furono ingentiliti da pitture spesso non visibili, ma testimoni di un glorioso passato: ricordiamo la Sala di Flora di Palazzo Carrara, o i dipinti del gruppo dei pittori fiamminghi come Martin Stella e Gilles Congnet che decorarono le sale del Palazzo Giocosi Mariani. Nel 1575 Karel van Mander affrescò la Sala Consiliare di Palazzo Spada con la “Battaglia di Lepanto” e la “Strage degli Ugonotti”. Non dimentichiamo il Maestro della Dormitio nella chiesa di San Pietro o la “Leggenda delle mele auree” di ignoto nella chiesa del Camposanto dove si vede una delle tante immagini di San Valentino.
Ma c’è qualcosa di più che concorre all’identità multiforme della città: un’immagine spesso sconosciuta ai più, ma degna di essere riportata all’attenzione di quanti amano Terni e, soprattutto, un’immagine che va valorizzata per rendere giustizia a un luogo e a un territorio che in passato fu tanto ammirato. Parlo di quella stagione che va sotto il nome di Grand Tour. I resoconti di quei principi, nobili, ricchi borghesi, poeti e pittori che percorsero l’Italia alla ricerca dei siti archeologici e della bellezza della natura, nel loro viaggio di istruzione ebbero come una delle mete principali la Cascata delle Marmore. Tutti sostarono a Terni, tutti descrissero o dipinsero la città e la conca in modo ammirato e coinvolgente: la bellezza della piana ternana, la città e i suoi monumenti, l’abbondanza e la grandezza dei frutti e dei raccolti (questa già annotata da Plinio il Vecchio e Tacito). Così afferma Jean Baptiste Labat “Vi si falciano i prati tre volte all’anno … è la regione dei grossi frutti … delle pesche da venti once l’una … le albicocche, le pere, i fichi e generalmente tutti i frutti sono molto grandi e gustosi, i meloni sono di una grandezza che si trova solo in America”.
G. Girolamo Carli nel 1765 così scriveva: “Terni è copiosissimo d’acqua, …ha buon pane, vino e oli…” e lo stesso Labat ricorda “i migliori vini che si possano desiderare ed anche Malvasia e Moscato”.
Tutto questo ci dice che Terni ha una storia antichissima, che è stata città importante, che la sua identità così multiforme e ricca la rendono unica: tutto ciò dovrebbe rendere noi orgogliosi di essere i suoi cittadini.
Vorrei concludere invitando a riflettere sulle parole di Lodovico Silvestri che così scrive a metà dell’800: “la felice posizione di questa città ci somministra tanti mezzi e tante speciali opportunità per farne tesoro in qualunque imprendimento industriale e commerciale, che altri non hanno: apprezziamoli e profittiamone noi innanzi che altri ci prevenga, o ci si frapponga…”.
Loretta Santini