Sono sicura che ce la faremo!

Una pausa nelle mie riflessioni su Terni e il territorio: è d’obbligo data la situazione.

Ormai non possiamo che parlare del coronavirus: una parola che spaventa, corre veloce di bocca in bocca. Trova nella gente paura, anzi terrore, apprensione, ansia, incertezza, aspettativa, comunque disagio.

Domina incontrastata sui video su WhatsApp, su tutti i social.
Girano allarmismi, profezie, fake news, complottismi, disperata ricerca di mascherine, guanti e disinfettanti (mai la gente si è lavata come in questi giorni).
Poi assalti ai negozi con incetta -razionale o no- di generi alimentari: farina pasta latte lievito patate.

Le precauzioni sono d’obbligo, le esagerazioni no.
C’è chi sa ironizzare e ti strappa un sorriso con battute ora scherzose e sottili ora pungenti e frizzanti, chi canta dalle finestre e dai balconi coinvolgendo in un coro appassionato altri affacciati ai balconi. C’è chi ha riorganizzato la propria vita in casa con filosofia ed ha la fortuna di avere figli o nipoti con sé, chi è completamente solo; chi deve continuare a lavorare –negli ospedali, nei supermercati, nelle fabbriche- con il pericolo sempre incombente del contagio.

C’è soprattutto chi piange -e sono tanti- la fila dei morti: piange non solo la morte della persona cara, ma anche l’ultimo abbraccio negato.
In passato sono state tante le epidemie o pandemie: la peste nera che ha devastato l’Europa a metà del ‘300 di cui fu testimone Boccaccio (pestifera mortalità), o quella del 1630 descritta da Manzoni nei Promessi Sposi. In tempi più vicini a noi ricordiamo il flagello della Spagnola che fece ben venticinque milioni di vittime, o l’Asiatica, l’influenza aviaria a metà del ‘900. Ricordiamo ancora la Sars e quella conosciuta come influenza suina diffusesi nei primi anni del 2000, ma controllate rapidamente.
Non scordiamo poi il vaiolo, il tifo, il colera, il morbillo, la poliomielite.
Ed ora abbiamo il Covid-19.

La maggior parte di queste sono state sconfitte, grazie ai vaccini che sono stati messi a punto. Non lo abbiamo ancora per quest’ultima pandemia, ma i ricercatori stanno lavorando alacremente per metterne a punto uno efficace e sicuro. Il coronavirus sarà sicuramente sconfitto: ne sono convinta.

In questo momento di isolamento nelle nostre case, il web e i social network, oltre a un’informazione a 360 gradi, sono diventati i principali alleati contro la solitudine.
Questa forse è la maggiore differenza con le tragedie del passato: tutti noi connessi in rete veniamo a far parte di una specie di villaggio globale dove si annullano le distanze e si comunicano pensieri, emozioni, preoccupazioni, speranze, condivisioni, abbracci.
Stranamente questa tecnologia che molti hanno criticato perché sembra isolare l’individuo e allontanare i contatti tra le persone, diviene quasi l’unico modo per stare uniti e comunicare.

Nasce, anzi è nata, una specie di cultura virtuale: molti musei d’Italia e del mondo sono stati messi on line, così le biblioteche. C’è chi ogni sera ci parla di poesia o ci racconta un’opera d’arte, chi recita pièces teatrali e festival e rassegne di ogni genere. Per non parlare della schiera di maestri, professori, studiosi che continuano a parlare con i propri alunni in questa inedita scuola virtuale.
Dal coronavirus si guarirà, ma al termine di questo periodo nero -e speriamo che avvenga presto- la nostra vita sarà completamente cambiata, così il lavoro. Inoltre avremo un’economia in ginocchio.

Per il momento siamo in guerra (la 3^ guerra mondiale) ma, come nel dopoguerra, dopo le morti e le distruzioni, gli italiani si sono rimboccati le maniche e hanno ricostruito il paese, così faranno anche questa volta. Ne sono sicura.
Ora ci troviamo ad apprezzare quello che avevamo e di cui non ci eravamo accorti.
Ora abbiamo imparato a rivedere la nostra scala di valori.
Ora abbiamo nostalgia di una stretta di mano, di un abbraccio.
Ora vorremmo abbracciare la bellezza del mondo.

Abbiamo dipinto arcobaleni con la scritta va tutto bene per incoraggiare i nostri piccoli figli e nipoti, abbiamo cantato dai balconi l’inno d’Italia ma anche le canzoni che parlano di speranza e di un cielo azzurro.

Abbiamo ripetuto lo slogan “ce la possiamo fare”, pur con l‘angoscia nel cuore e con il pensiero a tutti quei dottori, infermieri, lavoratori che in questo momento, mentre noi stiamo a casa, rimangono sulla breccia.

Lo abbiamo ripetuto per darci coraggio, ma con la tristezza incommensurabile dei nostri cari, che stanno sparendo, da soli, in un letto d’ospedale, soprattutto i nostri vecchi, la memoria storica del passato, proprio quelli che portano con sé i ricordi di pregressi cataclismi come quelli della guerra.

A chi si lamenta perché non può fare jogging o palestra ricordo che Nelson Mandela per 27 anni in carcere faceva ginnastica e un’ora di corsa sul posto.

Vorrei ricordare anche le parole di Anna Frank che dal 12 giugno 1942 al 1 agosto 1944, rimase nascosta per non essere catturata dai nazisti: “Io non penso a tutta le miserie, ma a tutta la bellezza che ancora rimane.” E ancora: “Prova anche tu, una volta che ti senti solo o infelice o triste, a guardare fuori dalla soffitta quando il tempo è così bello. Non le case o i tetti, ma il cielo. Finché potrai guardare senza timori, sarai sicuro di essere puro dentro e tornerai ad essere felice”.

Loretta Santini