È quello che si dice un circolo vizioso: c’è traffico, chiedi di allargare la strada. Allargano la strada, per un po’ c’è meno traffico, poi qualcuno pensa di passare di lì. Faceva un’altra strada, ma questa ora è più larga, oppure prendeva i mezzi o la bicicletta, ma vuoi mettere il macchinone tutto cromato, ecc. Potrebbero allargare ancora, ma non c’è spazio. Togliamo il semaforo pedonale, che tanto chi vuoi attraversi lì. Si sveltisce per un po’, tanto vale metterci un centro commerciale con relativo parcheggio. Altra gente che non sapeva neanche che ci fosse quella strada, gente di fuori con la faccia smarrita, arriva da noi, a vedere le fantasmagorie del nuovo centro commerciale.
Si riblocca tutto: facciamo una bella sopraelevata, guarda che piloni di design. Per un po’ si fluidifica, poi si congestiona, ma su due livelli. “E un sottopasso?” grida qualcuno. Nasce un comitato per il sottopasso. I livelli salgono a tre. Finché un giorno piove e qualcuno va sotto, che magari passava lì per caso, per vedere l’effetto che fa. Polemica, scandalo, ecc. E’ in parole povere, anche se un po’ sceneggiate, il paradosso di Braess, se rendiamo un’alternativa troppo facile, o se mostriamo che non ce ne sono altre, alla fine siamo nei guai qualunque cosa facciamo, perché il sistema diventa fragilissimo.
Però, attenzione: c’è chi resiste a Braess, che pover uomo non se l’aspettava. Chi continua lo stesso a fare le cose più difficili, chiedere più mezzi, continuare ostinatamente ad andare a piedi o in bicicletta, che si possa passare coi bambini o con quelli più grandi in carrozzina, e che i marciapiedi siano collegati l’uno con l’altro, e non finiscano nel nulla, come quello del cantiere del sottopasso di via Aroldi (già, a proposito, un sottopasso). Perché si sta bloccando tutto, se non ve ne siete accorti.
Ma non può essere la fine della storia, e che Braess ci perdoni, perché poi dovrebbe subentrare l’intelligenza e la capacità di decidere.
Carlo Santulli