È successo di nuovo: dopo più di trent’anni da quando a Berlino ho sentito dire da un cameriere Quanto è bella Terni! (vedi articolo LPU ottobre 2014), mi sono ritrovata nella stessa situazione. Questa volta era la proprietaria di una pasticceria nel centro storico di Mantova dove stavo comprando i dolcetti tipici del luogo. Vi racconto così una gita a Mantova, la città che è stata dichiarata “capitale della cultura” per il 2016. Era candidata con Terni.
Il confronto diventa d’obbligo, non senza aver ricordato che per questa candidatura non contano i monumenti che una città possiede -per questi Mantova avrebbe comunque vinto a mani basse ma i progetti per il suo sviluppo. Ricordo alcuni monumenti: il Palazzo Ducale con la stupenda Camera degli Sposi, il favoloso palazzo Te, la chiesa di San Lorenzo, la basilica di Sant’Andrea dell’Alberti solenne elegante e maestosa. È una piccola cittadina -non raggiunge i 50.000 abitanti- con strade lastricate dall’acciottolato del fiume Mincio che si allarga intorno alla città come un lago. Il colpo d’occhio è davvero eccezionale: Mantova è quasi un’isola sull’acqua, circondata da un’oasi verde.
La città da tempo ha un turismo culturale, sportivo, enogastronomico molto sviluppato, ma il suo nuovo stato di “città della cultura italiana 2016” ne ha decuplicato le presenze, come affermano le guide che conducono i gruppi in visita alla città. Per tutto il centro storico rigorosamente chiuso al traffico, è un brulicare di turisti al seguito di queste guide con il loro simbolo di richiamo o di aggregazione tenuto alto sulla testa; di ristoranti che espongono il loro menu turistico, di bancarelle con souvenir dove non manca l’immagine di un monumento entro una palla di vetro da cui scende la neve o il grembiulino da cucina con stampigliato il nome della città o ancora il magnete che immortala qualche panorama. Tutti simboli, negativi o positivi che siano, del turismo di massa.
Io, turista tra i turisti, ho goduto di tutte le bellezze del luogo e poi mi sono attardata, come d’obbligo, a comperare souvenir tra cui i dolcetti tipici. La signora della pasticceria mi ha consigliato il panpepato di Ferrara che, come si sa, nel 2015 ha ottenuto il marchio IGP. È stato un tuffo al cuore! Il nostro buonissimo panpepato non ha ottenuto niente (come mai?) e vi assicuro che è molto più ricco di sapore, di ingredienti, di storia, di profumi, di sapienza culinaria. Declino gentilmente l’offerta dicendo che sono di Terni, che lo ho assaggiato al ristorante e che non posso portare nella mia città un dolce di cui andiamo tanto fieri. La signora sgrana gli occhi e apre la bocca in un sorriso pieno ed esclama: Quanto è bella Terni!
Dico la verità: rimango stupita e, dopo essere rimasta a bocca aperta per qualche secondo pensando dentro di me al confronto tra i monumenti delle due città, chiedo timorosa che cosa le sia piaciuto. Risponde che le è rimasta nel cuore la Cascata delle Marmore e che Terni l’ha solo attraversata: sapeva di San Valentino, sapeva che c’erano alcune belle chiese, ma non sapeva come organizzare la visita. Tutto ciò mi porta a fare molte considerazioni, ma ne dico una per tutte: la non capacità di sviluppare il turismo, di valorizzare i beni culturali, naturalistici, enogastronomici della nostra città e del nostro territorio caratterizzato dal turismo mordi e fuggi: pillole di bellezze naturali o architettoniche, senza alcuna attenzione alla storia, alle tradizioni, all’identità di un luogo.
Per quanto riguarda Terni e il suo circondario, basterebbe confezionare pacchetti turistici di due o tre giorni da vendere alle agenzie di viaggi che, partendo dai punti chiave del turismo come la Cascata delle Marmore e la tomba di San Valentino (ambedue conosciuti in tutto il mondo), includa per esempio mezza giornata a Carsulae, mezza a Piediluco, mezza a Terni con visita alle chiese (Duomo, Cappella Paradisi), alla Pinacoteca, al Museo Archeologico, con un occhio a due monumenti che rappresentano in modo eccezionale la storia di Terni: la Grande Pressa e la Lancia di Luce di Pomodoro. Si può includere anche il Museo delle Armi, unico al mondo o quel grande open museum che è fatto degli innumerevoli reperti di archeologia industriale che hanno fatto la storia di Terni, spesso oggi godibili perché ristrutturati e adibiti a nuovo uso, come il complesso dell’ex Siri che oggi ospita il centro policulturale con i musei cittadini. Il pacchetto dovrà includere pranzi con prodotti tipici del luogo: ne abbiamo tanti, dalla pasticceria, al panpepato, alle ciriole, al pane. Tutto con guide autorizzate che spieghino la storia, i monumenti. Solo allora cominceremmo ad assomigliare a una città turistica e potremmo far conoscere l’identità della nostra città.
Sono stata anche a Ferrara (il pacchetto turistico era di due giorni), città stupenda, poco più popolosa di Terni. Non parlo dei monumenti che la rendono interessante. Voglio parlare invece di quei vasti parchi verdi tenuti ben puliti, con l’erba tagliata, le panchine sparse ovunque. Voglio ricordare i sentieri pedonali o ciclabili -Ferrara è conosciuta come la città delle biciclette- che corrono per tutta la città, in mezzo al verde o lungo il circuito delle mura o seguono in tutta la sua lunghezza il corso del Po.
Il mio cuore ha pianto calde lacrime al pensiero dei giardini di Terni (ricordo che è una delle città italiane con più verde per abitante) così mal tenuti e pieni di erbacce. Mi sono rattristata al pensiero delle piste ciclabili non utilizzate, al percorso lungo il Nera quasi sconosciuto e in degrado. Se vogliamo Terni bella -e lo vogliamo- dobbiamo risolvere immediatamente questo stato di abbandono. Non mi rivolgo solo all’Amministrazione che deve fare per prima la sua parte, ma mi rivolgo anche a tutti quei cittadini che spesso, ahimè troppo spesso, si mostrano incivili e insensibili riducendo le strade e i giardini a un immondezzaio. Per favore: un po’ più di amore per questa città!
Loretta SANTINI