Coltivo, da sempre, estremo amore per libertà, democrazia e cultura. Amo quindi profondamente la Politica, ancella di Atena-Minerva, dea della ragione e della scienza, alla quale chiedo perenne nutrimento. Ratio, parola latina, significa, in matematica, calcolo, rapporto, relazione, collegamento, e, nel parlare comune, razionalità, ragionevolezza. Notissimo è quello che chiamiamo numero razionale o, più riduttivamente, frazione.
I lettori della mia età ricorderanno, appena dopo la guerra, i paltò “sette ottavi” che, divisa l’altezza di una persona in 8 parti, ne coprivano ben 7, quasi tutta invero, visto il gran freddo e il poco riscaldamento dell’epoca! Sette ottavi è una frazione che, prima del 1002, anno di uscita del Liber Abaci scritto dall’immenso matematico Leonardo Pisano, era denotata con 7f8 (sette fracto otto), poi, proprio in base a quanto scritto nel Libro dell’abaco, con 7/8 (il simbolo “/” viene chiamato virgula: virga, bastone). La frazione 7/8 (sette volte la ottava parte di un tutto) collega elementi omogenei, ovvero della stessa natura. C’è un qualcosa però, nella matematica come, ovviamente, nella mente umana, che inventa e innesca un non rapporto tra elementi di natura estranea, assolutamente avulsi tra di loro. In matematica questo “elemento” si chiama irrazionale (ovvero non in rapporto), nella psichiatria è conosciuto come schizofrenia (da σχίζω, schizo, diviso e φρήν, phren, cervello e cioè “scissione della mente”). È una crasi, una separazione netta tra fatti, pensiero e realtà, un adombrare relazione tra elementi del tutto avulsi tra di loro. Questo avviene per i numeri, per la mente, per la politica, per l’analisi del cielo. Si dà esistenza a enti fantasticati ed inconciliabili: nel caso politico, si inventano argomentazioni ridicole e oltraggiose; nel caso degli astri, ci si inventa di tutto, pur di carpire la buonafede dei benpensanti. Questi ultimi casi, astrologia cioè e politica di bassissima lega, quella che io chiamo politicume e che disprezzo profondamente, sono del tutto analoghi tra di loro: diffondono scemenze acchiappacitrulli.
L’astronomo nasce come osservatore del cielo, per capire come meglio adattare e predisporre semine e raccolti, conosce raffinatamente passato e presente, ma parla solo di futuro. L’astrologo non conosce, non sa, ripete puntualmente sciocchezze senza senso, guarda solo al passato, a vecchi papiri, meglio se di supposta origine caldaica, di cui non capisce assolutamente nulla, perché non sa analizzare in senso storico, cerca di ingenerare nelle menti questa narcosi paralizzante: non sono io l’artefice del mio destino ma sono altri, fuori di me (un uccello, un bastone, delle carte, un feticcio, un amuleto) e chiama i poveri farlocchi ad agire su comando di un cetriolo, di un ciotolo, di una rapa.
In riferimento alla mia politica assiologica, non v’è dubbio che in un polo brillino ratio, politica, astronomia e, a seguire, scienza, progresso, mente. Nell’altro polo, quello opposto, stagnano invece irrazionalità, politicume, astrologia e, a seguire, superstizione, conservazione, ventre. Poiché intorno agli astrologi riporto bagatelle in queste stesse due pagine, ne spendo altre relative al politicante, perché, nei prossimi due mesi ci infesterà con le solite sciocchezze ingannapopoli. Chi è costui? È colui che, soprattutto da alti pulpiti, la spara che più grossa non si può.
Mentre il politico presenta progetti seri, circostanziati, logici e plausibili (e parla del futuro, come l’astronomo), il politicante sbandiera solo fumoserie generiche, argomentazioni a pene di segugio, promesse vecchie e stantie: da 1 a 2 a 10 milioni di posti di lavoro, abolizione degli ingorghi di traffico e della ritenzione urinaria, rifacimento della matematica affinché sia comprensibile anche ai parlamentari italiani. Invece di annunciare uno strenuo impegno per ridurre il debito pubblico italiano, lo aumentano a dismisura con promesse beceramente funzionali alla cattura dei voti dei disattenti, degli ignoranti, dei panciaragionanti: sconti fiscali, aiuti ai disoccupati, abbassamento degli assegni previdenziali, guarentigie varie, benefici mirabolanti. Si propagandano temi populisti, nel senso di argomenti volti a dire ad una ampia fascia di elettori ciò che si vogliono sentir dire, ma non recanti una visione intelligente ed adulta di Paese, mai una proposta organica per il suo stesso futuro!
Fino a quando saremo disposti ad accettare, intorno a noi, questa pletora di minus quam che poi, subdolamente, si trasformerà in ministri, primi o secondi, segretari e sottosegretari? Persone civili e responsabili non farebbero dipendere la loro vita dalle malvagità degli oroscopisti e da cialtronerie parallele di molti politicanti. E, così, insieme ai tanti politici di valore, potremmo festeggiare tutto l’anno guidati da ratio, scienza e logica, immersi, di conseguenza, nella poesia e nell’arte, nelle tradizioni e nella fenomenale cultura italiana. Questa classe dirigente doc esporrebbe progetti ben definiti, proverebbe ad immaginare un’Italia diversa, un’Italia punteggiata di musei accoglienti, siti archeologici spettacolari e teatri.
L’Italia giardino del mondo, degli agriturismi e dei centri benessere; dei mari e delle coste ripulite da tutte le sozzure. Dei pannelli solari installati sotto il nostro splendido e perenne sole, dei prestiti facili alle cooperative giovanili che propongano iniziative originali nell’arte, nello spettacolo, nella moda e nel turismo di qualità. Un’Italia verde e profumata, una Valnerina generalizzata, il polo attrattivo di tutto ciò che è bello, sacro ed elegante. Saremmo più felici e più ricchi. Ma soprattutto saremmo quel che ci ostiniamo a non voler essere: italiani.
Giampiero Raspetti
Annunciano il futuro: a molti dissero che sarebbero vissuti a lungo, ma il loro ultimo giorno li sorprese senza che avessero alcun timore; ad altri annunciarono una morte imminente ma quelli sono sopravvissuti, vivendo un’inutile vita; promisero un’esistenza felice a molti neonati ma la sfortuna li colpì con ogni male. È incerta la sorte della nostra vita: chi ha ideato queste finzioni non credeva in esse e voleva solo mettere alla prova l’intelligenza di ciascuno.
Seneca il Vecchio, Suasorie 4, 3
Come mai a Delfi non vengono più pronunciati oracoli, e non solo ai nostri tempi, ma già da molto, di modo che niente può essere ormai oggetto di maggior disprezzo? Quando vengono messi alle strette su questo punto, rispondono che per l’antichità è svanita la forza di quel luogo, la quale produceva le esalazioni che esaltavano l’anima della Pizia e le facevano proferire gli oracoli. Diresti che costoro parlano del vino o della salamoia, che perdono sapore col tempo. Si tratta della forza sprigionantesi da un luogo, e di una non meramente naturale, ma addirittura divina; come mai, dunque, essa è potuta svanire? Per il lungo tempo trascorso, tu dirai. Ma quale durata di tempo può essere in grado di esaurire una forza divina? E, d’altra parte, che cosa può esserci di tanto divino quanto un afflato prorompente dalla terra, capace di eccitare la mente umana in modo da renderla presàga del futuro, in modo che non solo lo veda con grande anticipo, ma anche lo reciti in versi ben ritmati?
E quando codesta forza è svanita?
Forse quando gli uomini incominciarono a essere meno crèduli?
Cicerone, Della divinazione, II, 117
Antimago Raspus
Uomo. Umano o divino, frutto della evoluzione o meraviglia del creato? La natura, per certo, contiene nel suo scrigno tante meraviglie, tanti misteri da spiegare. La scienza, nella sua ostinata ricerca dell’alfabeto della natura, allorché chiarisce, crea la meraviglia opposta: fenomeni, misteriosi quando ancora non spiegati, appena svelati diventano normali e presentano sempre le stesse, misurabili, conseguenze. Meraviglia se così non fosse! La scienza è però difficile da assumere: non basta leggere o conservare libri sullo scaffale! Occorre intelligenza, metodo, tenacia, grande bagaglio culturale, onestà intellettuale, coraggio nel formulare ipotesi, nel ricercare dimostrazioni, nel pubblicare risultati, validi solo se oggettivi, controllabili, dimostrabili in ogni momento, sotto ogni sole. La scienza è la negazione del lei non sa chi sono io: nella sua totale trasparenza e moralità, chiede di essere processata. Non solo non si autoassolve sbandierando un’arrogante e presunta veridicità, ma è mossa da un unico motore, la falsificabilità. A molti basta invece la facciata: vestirsi bene per dare ad intendere di essere dabbene, fanfalucare dogmi o attestarsi su princìpi di autorità pur di guadagnare soldi e notorietà, pur di truffare gli altri. Per sopravvivere devono far trionfare il pensiero scarno, quello per cui ci si abitua a delegare, a rifuggire la ragione come dalla peste, a rifiutare spirito critico, intelligenza, cultura. Fanno parte di questa brigata anche alcuni sedicenti intellettuali e molti politicanti. Tutti hanno desiderio di imporsi agli altri, non di istruire, ma di ingannare. Si presentano come guide, annunciatori degli oscuri misteri della vita, taumaturghi capaci di risolvere tutti i problemi. Fanno primeggiare fantasticheria e credulità. Attenzione ad abbandonare la ragione, non è vero che non ci siano tristi conseguenze: l’assenza di razionalità fa teorizzare lo sterminio degli ebrei, dei palestinesi, degli zingari, dei ritardati mentali, dei diversi, dei disagiati…attenzione ad essere creduloni: è la credulità che induce il topo a mangiare formaggio avvelenato. I nostri predecessori non avevano alcuna consapevolezza dei fenomeni naturali in cui inciampavano ogni giorno, figuriamoci quanto potevano capire della natura delle stelle! Potevano solo guardarle estasiati, riverenti, dubbiosi. Cominciarono a viaggiare mentalmente ed a proiettare sul firmamento ansie, aspirazioni, immagini delle proprie divinità e dei propri miti. Ogni popolo ha così creato un cielo differente zeppandolo di animali, mostri, eroi, cianfrusaglie… ogni ben di Dio, insomma. Oggi invero, scienza docet, sappiamo molto e non abbiamo più, Galilei e Kant docunt, bisogno di supporre nel trascendente, come avvolti nell’oscurità, il cielo stellato sopra di noi e la legge morale in noi.
E sappiamo pure che, per un po’ di tempo ancora, qualche ultima carrozza, cigolando, se ne andrà.
Antimago Raspus, La Pagina, Gennaio 2003