
Dopo aver attraversato la tragedia della Seconda guerra mondiale con 500.000 morti, tra civili e militari, l’Italia ha ricostruito sé stessa come Repubblica democratica, cancellando il ventennio fascista e dotandosi di una Costituzione avanzata. Inserita in un sistema multilaterale con la Dichiarazione universale dei diritti umani e le Nazioni Unite come riferimenti fondamentali, ha vissuto 80 anni di pace e libertà, convinta che il nazionalismo aggressivo fosse ormai un residuo del passato. Oggi, però, questa certezza è messa in discussione.
Il principio dell’intangibilità delle frontiere nazionali, che sembrava garantire la stabilità internazionale, è stato violato nel 2022 con l’invasione russa dell’Ucraina. Un atto di enorme gravità, compiuto proprio da uno Stato membro del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, che per primo avrebbe dovuto difendere tale principio. La Carta delle Nazioni Unite è chiara: gli Stati membri devono astenersi dall’uso della forza contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di altri Stati. Il mancato rispetto di questa regola ha aperto scenari pericolosi, legittimando tentazioni espansionistiche altrove.
Molti osservatori vedono in questo contesto la strategia del governo israeliano nella risposta militare a Gaza dopo il massacro del 7 ottobre 2023. Se la strage di civili israeliani da parte di Hamas è stata atroce, la reazione di Netanyahu, per alcuni, nasconde l’intento di ridefinire i confini attraverso una sistematica annessione di territori. Questo si inserisce in un processo già in atto in Cisgiordania, con l’espansione delle colonie e il coinvolgimento dell’esercito. Una contraddizione dolorosa per uno Stato nato proprio per risarcire il popolo ebraico dalle persecuzioni della Shoah, il genocidio più efferato della storia moderna.
Ma il fenomeno nazionalista non si ferma qui. Anche gli Stati Uniti, con Donald Trump, sembrano imboccare questa strada. Prima ancora di tornare alla Casa Bianca, Trump ha dichiarato l’intenzione di annettere il Canale di Panama, la Groenlandia (territorio danese, dunque europeo) e persino il Canada. Questa visione non è isolazionista, ma espansionista e aggressiva, con ripercussioni globali e in particolare per l’Europa.
Negli ultimi anni, segnali di questa deriva americana erano già emersi: il progressivo svuotamento del ruolo dell’ONU, l’uscita dagli Accordi di Parigi sul clima, il boicottaggio del WTO con l’imposizione di dazi unilaterali, l’abbandono annunciato dell’OMS e il minacciato disimpegno dalla NATO, con la richiesta agli alleati di aumentare la spesa militare dal 2 al 5% del PIL. Il “Make America Great Again” è un manifesto nazionalista che rifiuta il multilateralismo cooperativo e punta a ridisegnare i rapporti internazionali a vantaggio esclusivo degli Stati Uniti.
Trump ha già giocato un ruolo chiave nella Brexit, indebolendo l’Unione Europea. Ora punta a sostituire il dialogo tra UE e USA con accordi bilaterali con i singoli Stati europei, spezzettandone il potere negoziale. Inoltre, il crescente coinvolgimento diretto delle grandi aziende tecnologiche nella politica americana amplifica questa tendenza. Un esempio concreto è l’accordo tra USA e Italia per l’uso esclusivo della rete satellitare Starlink, in contrasto con il progetto europeo IRIS2, previsto per il 2030. Secondo la Commissione del Parlamento Europeo, questo accordo rappresenterebbe un grave errore strategico per l’Italia, che rinuncerebbe alla propria sovranità tecnologica e indebolirebbe la leadership europea in un settore cruciale.
A questo punto, emerge il vero nodo della sovranità: non quella frammentata dei singoli Stati, vulnerabili di fronte ai giochi di potenza globali, ma quella europea. Solo un’Europa coesa e consapevole potrà affrontare la sfida dei nuovi nazionalismi e difendere un ordine internazionale basato sulla cooperazione e sulla pace.
Giacomo Porrazzini