OCCUPAZIONE RECORD

MA NON PER I NOSTRI GIOVANI TRA INVERNO DEMOGRAFICO, EMIGRAZIONE E GAP RETRIBUTIVO

L’analisi dei dati occupazionali del luglio 2024 conferma una robusta tendenza di crescita occupazionale ed al contempo del tasso di attività che, oltre a consolidare l’andamento registra delle cifre da record tra gli attivi che crescono fino al 62,2% e di contro il tasso di disoccupazione scende al 6,5% su base nazionale. Il numero di occupati cresce con una percentuale vicina al 2,1% su base annuale e ne beneficiano tutte le categorie uomini, donne, autonomi, perfino gli ultracinquantenni ad eccezione della classe di età che va dai 15 ai 34 anni con una più marcata sofferenza tra la classe dei giovanissimi, ossia dai 15 ai 24 anni.

Il dato allarmante, a cui si è dato meno risalto, è invece quello relativo all’ultimo anno per le fasce di età 15/24 e 25/34, crescono anche il numero degli inattivi dell’1,9% nella fascia 15/24 anni e addirittura del 4,3% in quella 25/34. Il tasso di occupazione dei giovani tra 15/29 anni è il 34,7% a fronte di una media europea del 49,7%.

Per completare il quadro negativo c’è il tasso nazionale dei NEET tra 18/29, pari al 17,5%, che colloca l’Italia in una delle posizioni più basse dell’Unione Europea. Questo è il trend che bisogna analizzare meglio, perché riguarda la parte a maggiore vocazione produttiva, la linfa verde e vitale di un Paese alle prese con un inverno demografico, che scompensa in maniera determinante il mondo del lavoro mettendo a rischio i processi d’innovazione e le sfide inerenti alla formazione di figure professionali necessarie a supportare l’odierna rivoluzione tecnologica (IA).

La quarta rivoluzione digitale sta lasciando il posto alla quinta, quella tecnologica, relativa all’intelligenza artificiale, che prepotentemente sta attraversando la società e che cambierà i modelli organizzativi della produzione e delle imprese, soprattutto i contenuti professionali.

Tutto questo si innesta in un nuovo paradigma del lavoro, sconvolto già dal periodo pandemico che ci ha consegnato trasformazioni profonde, sia nella “cultura del lavoro”, sia alla sfera dei valori della vita quotidiana. L’effetto lungo della pandemia ha fatto scattare nei lavoratori la filosofia riassunta nel termine inglese “YOU ONLY LIVE ONCE AND GOOD” (si vive una volta sola e bene). Analizzare le cause di questa grande criticità del dato giovanile, alla luce di un processo di trasformazione del mercato del lavoro così profondo che ci consegnerà nuove figure professionali e nuovi modelli organizzativi a valle della rivoluzione tecnologica che stiamo al momento subendo e molto meno cavalcando, è molto complesso ma è certamente necessario per mettere in piedi contromisure che passano in primis per un grande investimento in formazione ed orientamento.

La rapidità con cui saremmo in grado di rispondere a livello formativo per i lavoratori ed in cui saremmo in grado di investire in tecnologia da parte delle imprese, ci darà la misura della nostra capacità occupazionale ed in generale della nostra competitività.

Il dato giovanile ha una sua valenza nell’arco di tutto il territorio nazionale con percentuali decrescenti occupazionali dal nord al sud, ma con declinazioni diverse da territorio a territorio. Risulta evidente che molti sono i fattori che contribuiscono ad esaltare queste difficoltà, dimensioni aziendali, livello di salari e retribuzioni, precarietà e non ultimo il dato legato alla qualità del tempo lavorativo ed alle modalità lavorative all’interno di imprese che, a volte, risultano essere poco dinamiche e con lavoratori con un’età media molto elevata e quindi resistenti ai cambiamenti. Risultando difficile analizzare il contesto nazionale, l’analisi dei dati dell’Umbria offrono uno spunto di riflessione molto interessante.

Chi sono e quanti sono i giovani occupati in Umbria?  Cosa vogliono e cercano dall’esperienza lavorativa? Proviamo a rispondere a queste domande con il supporto di pochi e semplici dati riferiti al 2022. Sono circa 70 mila i giovani under 35 che lavorano con diverse tipologie contrattuali nel settore privato ed hanno una retribuzione media di 14.478 euro. Il 30,6 % del totale dei dipendenti privati. Siamo sotto la media nazionale e soprattutto delle regioni del nord, quelle più dinamiche. Nel complesso, agli umbri con meno di 35 anni che lavorano nel privato come dipendenti, corrisponde una retribuzione media annua di 14.478 euro, inferiore a quelle dei coetanei della media Italiana e del Nord del Paese (rispettivamente pari a 15.616 e 17.692 euro).

Si ripropone dunque, anche per i più giovani, l’analogo svantaggio retributivo umbro già osservato per l’intera compagine lavorativa (del resto, anche le retribuzioni medie annue dei lavoratori più maturi si collocano al di sotto dei relativi dati delle aree di riferimento). La forbice retributiva annua degli umbri under 35 rispetto ai coetanei italiani e settentrionali è in media pari a -7,3% e a -18,2% per cento, rispettivamente, ovvero si passa da 1.138 euro in meno rispetto al dato nazionale medio ed a 3.214 euro in meno rispetto alle regioni “virtuose” settentrionali.

Se poi andiamo a raffrontare solo i lavoratori del comparto privato che hanno un contratto standard pagato in modo migliore (ovvero sia apprendistato, tempo determinato lungo e tempo indeterminato), ci accorgiamo che il divario rispetto al dato nazionale e riferito all’Italia settentrionale cresce ancora. In Umbria, infatti, la retribuzione media annua di un giovane dipendente nel comparto privato con contratto a tempo indeterminato, full-time per un intero anno è stata di 24.069 euro nel 2022 (contro i quasi 29 e 28 mila euro dei giovani del Nord e italiani rispettivamente), che corrispondono a -3.852 euro del valore medio italiano ed a -4.888 euro di quello del Nord (-13,8% e -16,9% per cento rispettivamente).

Quali sono i motivi di questo ulteriore gap che negli anni che vanno dal 2018 al 2022 è in crescita? Il minore guadagno dei giovani umbri dipende non solo da una maggiore uso di inquadramenti e profili professionali bassi da parte delle imprese con una grande concentrazione di figure di operai, ma anche dalla minore retribuzione media relativa a ciascuna qualifica, che si fa massima in corrispondenza dei pochi profili dei quadri. Le criticità sono dentro il combinato disposto di un sistema produttivo che non assorbe profili di alto livello tra i giovani e che ha poca fiducia nella nostra risorsa primaria.

Ci sarebbero molti fattori sociali e di comportamento da analizzare che darebbero in parte delle spiegazioni al comportamento della nostra classe imprenditoriale. Altro fattore preoccupante è il fenomeno dell’emigrazione di giovani professionalmente formati ed un calo demografico importante nelle classi di età interessate. A questi dati vanno aggiunti poi una bassa spesa d’investimento sulle Università, in alcune delle quali si accede a numero chiuso, come a Medicina.

Una follia se si pensa che queste figure professionali costituiscono l’ossatura centrale del servizio sanitario nazionale e che in questi anni abbiamo avuto una leva finanziaria importantissima come il PNRR. Molte delle nostre università hanno investito all’estero (Albania) ed i giovani, per il numero chiuso, devono andare in altri Paesi come la Bulgaria, con un esborso economico importante per le famiglie, ciò lede il diritto allo studio di tutti. Il documento “Giovani 2024: Bilancio di una generazione” del Consiglio Nazionale dei giovani svolto a Roma nella primavera del 2024, rivela dati preoccupanti riguardanti la demografia negli ultimi due decenni, in cui abbiamo assistito a una riduzione di quasi 3,5 milioni di giovani under 35, con un tasso di decremento di circa il 21%.

Questo fenomeno ha colpito particolarmente il segmento femminile. Questo scenario si accompagna ad una crescente instabilità nel mercato del lavoro, dove il precariato coinvolge il 41% degli under 35, evidenziando una condizione di incertezza e discontinuità lavorativa che affligge in modo particolare i più giovani. Tuttavia, il rapporto non getta solo luce su problemi persistenti, ma apre anche alla speranza, proponendo vie d’uscita chiare basate sull’innovazione, l’inclusione, l’aumento delle retribuzioni, la sostenibilità, una migliore regolazione dei flussi migratori ed una attenzione massima agli investimenti in scuola, università e formazione, leve strategiche per la competizione di oggi e domani. Infine, il potenziamento delle politiche industriali capaci di promuovere un movimento di innovazione di processo e di prodotto high tech, con il supporto dell’intelligenza artificiale e del metaverso, che metta al centro la promozione di nuove start up dedicate “esclusivamente ai giovani”. I futuri progressi saranno il frutto di una diversa sensibilità che i giovani hanno su temi inerenti all’ambiente e alla formazione. Sono proprio loro il motore verde, è da lì che si deve ripartire per un nuovo sviluppo ed il nuovo umanesimo.

Le criticità dei dati occupazionali giovanili riassunte in alcune didascalie:

“In Umbria i lavoratori standard under 35 del comparto privato sono per il 52,6% operai e per il 24,2% impiegati (contro il 42,3% e il 43,1% nelle regioni del Nord)” “La retribuzione media annua dei giovani lavoratori standard nel privato in Umbria è pari a 24.069 euro (a fronte dei quasi 28 mila e 29 mila euro dei coetanei italiani e delle regioni settentrionali)”

“La penalizzazione retributiva (rispetto alla media nazionale) dei giovani lavoratori umbri dipendenti nel privato è in crescita”

“Cessazioni di contratti a tempo indeterminato tra i giovani under 30: in Umbria, nel 2023, in 80 casi su 100 si è trattato di dimissioni (78 in Italia e 83 al Nord)”

Fonti:
AUR Agenzia Umbria Ricerche maggio 2024 “Quanti sono e quanto guadagnano i giovani dipendenti umbri”
Statistiche FFLASH ISTAT 30 agosto 2024
Rapporto “Giovani 2024: Bilancio di una generazione” del Consiglio Nazionale dei giovani