Qui ad Atene noi facciamo così.
Qui il nostro governo favorisce i molti invece dei pochi: e per questo viene chiamato democrazia. Le leggi qui assicurano una giustizia eguale per tutti nelle loro dispute private, ma noi non ignoriamo mai i meriti dell’eccellenza.
Quando un cittadino si distingue, allora esso sarà, a preferenza di altri, chiamato a servire lo Stato, ma non come un atto di privilegio, come una ricompensa al merito, e la povertà non costituisce un impedimento.
La libertà di cui godiamo si estende anche alla vita quotidiana; noi non siamo sospettosi l’uno dell’altro e non infastidiamo mai il nostro prossimo se al nostro prossimo piace vivere a modo suo.
Noi siamo liberi, liberi di vivere proprio come ci piace e tuttavia siamo sempre pronti a fronteggiare qualsiasi pericolo.
Un cittadino ateniese non trascura i pubblici affari quando attende alle proprie faccende private, ma soprattutto non si occupa dei pubblici affari per risolvere le sue questioni private.
Ci è stato insegnato di rispettare i magistrati, e ci è stato insegnato anche di rispettare le leggi e di non dimenticare mai che dobbiamo proteggere coloro che ricevono offesa.
E ci è stato anche insegnato di rispettare quelle leggi non scritte che risiedono nell’universale sentimento di ciò che è giusto e di ciò che è buon senso.
Un uomo che non si interessa allo Stato noi non lo consideriamo innocuo, ma inutile; e benché in pochi siano in grado di dare vita ad una politica, beh tutti qui ad Atene siamo in grado di giudicarla. Noi non consideriamo la discussione come un ostacolo sulla via della democrazia.
Noi crediamo che la felicità sia il frutto della libertà, ma la libertà sia solo il frutto del valore. Insomma, io proclamo che Atene è la scuola dell’Ellade e che ogni ateniese cresce sviluppando in sé una felice versatilità, la fiducia in se stesso, la prontezza a fronteggiare qualsiasi situazione ed è per questo che la nostra città è aperta al mondo e noi non cacciamo mai uno straniero.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Discorso di Pericle agli Ateniesi, 431 aC, tratto da Tucidide, Storie, II, 34-36
Qui in Italia noi facciamo così.
Qui da molto tempo si favoriscono i pochi invece dei molti. Solo ad un esiguo gruppo di privilegiati, dalla coscienza pulita perché mai usata, ed ai loro parenti, si regalano tesori. Si concedono con disinvoltura stipendi, emolumenti e prebende mensili da brivido, pensioni da super nababbi, braccialetti, orologi, diamanti, baciamani.
Ad anziani bisognosi e a giovani, però, solo blandizie e zuccherini (crustula di oraziana memoria) affinché i primi accettino remissivamente l’elemosina (che il più delle volte nemmeno arriva) e i pueri si decidano ad imparare che è bene star zitti fin quando arriverà… Godot!
Potentati, caste e banche la fanno da padroni e proprio per questo comincia ad insinuarsi il dubbio se chiamarla ancora democrazia. Forse oligarchia o plutocrazia meglio suonerebbero! Le leggi qui assicurano manovre per regalie ad personam e si distribuisce, addirittura, la cosiddetta prescrizione ai politici stessi i quali, potendo giostrare con le leggi e con avvocati di grido a loro piacere, fanno in maniera, vergognosamente, che le loro colpe non siano mai punite perché… oh, guarda, sono decorsi i termini!
Quando un cittadino ha carichi pendenti con la giustizia, non abbiamo alcuna remora ad inserirlo nelle liste elettorali e a nominarlo, incancrenendo così di grovigli mortali le sacre istituzioni! La falsa libertà culturale di cui godiamo (siamo tra gli ultimi posti al mondo per capacità critica e di analisi), si percepisce, purtroppo, nella vita quotidiana: siamo sospettosi l’uno dell’altro e non solo infastidiamo il nostro prossimo se a lui piace vivere a modo suo, ma cerchiamo con tutta la violenza della ideologia o del credo settario di fargli assumere usi e costumi di chi è più incolto e più violento.
Molti cittadini italiani, stanchi e delusi, sono ormai avulsi e lontani dai pubblici affari allorché attendono alle loro faccende private, mentre altri, si occupano, proditoriamente, dei pubblici affari per risolvere le proprie questioni private.
Noi cacciamo dal nostro paese i giovani seri, onesti ed intelligenti, costringendoli a emigrare per trovare lavoro fuori dal Paese.
Qui in Italia è ora che non si faccia più così!
Parole di un cittadino che ama la Politica
Giampiero Raspetti