La ricostruzione dell’antica storia naturale di un territorio è una faccenda particolarmente complicata.
Per definizione, questa storia comprende la sommatoria di un indefinibile numero di situazioni ambientali susseguitesi nel tempo sovrapponendosi parzialmente l’una all’altra.
Una “situazione ambientale” è costituita da miriadi di elementi fisici, chimici e biologici che si evolvono nel tempo con velocità diverse, perciò di molti paesaggi naturali effettivamente esistiti non potremo mai neanche sospettarne l’esistenza.
Di fatto, la materia prima necessaria alla ricostruzione, ossia le caratteristiche chimico-fisiche di quegli antichi ambienti e le componenti del paesaggio non ci sono più, sono state cancellate dal tempo: gli organismi biologici che popolavano quegli ecosistemi si sono estinti e le morfologie del paesaggio sono state, di volta in volta, letteralmente stravolte dalla dinamica geologica. In definitiva, un’immagine paleoambientale costituisce un’entità incredibilmente sfuggente come, del resto, lo è la sua distribuzione nel tempo.
In realtà, non è del tutto vero che di tangibile e misurabile non rimanga nulla. A volte un esiguo numero di elementi rimane conservato per un certo tempo a testimoniare l’esistenza di una realtà. Quasi ad informarci del “passaggio” di quell’antica condizione ambientale e, soprattutto, a suggerirne parzialmente l’immagine.
In effetti, questo tipo di ricerca, volta a racimolare disperatamente dettagli utili all’inquadramento generale di un’antica realtà, è un’impresa che ha in sé qualcosa di poetico ma, nello stesso tempo, anche di rigorosamente scientifico. Comunque, richiede non soltanto una buona predisposizione all’immaginazione ma anche una certa attitudine per la visione globale delle cose.
In più, ci si mette anche il tempo che, nella dimensione preistorica, si dilata a tal punto da sovrapporre gli eventi, confondendo sempre più le acque man mano che si procede all’indietro. Più a ritroso nel tempo profondo significa testimonianze sempre più scarse e rare, gradualmente cancellate dalla dinamica di un pianeta, il nostro, che si rinnova incessantemente riciclando, man mano, la materia precedente. Tant’è che avvenimenti diversi nei caratteri, nei tempi e nei luoghi, tendono a fondersi in un qualcosa difficilmente distinguibile.
Insomma, sembra proprio che rimanga ben poco su cui lavorare. Tuttavia, una grossa mano ce la danno discipline scientifiche come la geologia e la paleontologia fornendo svariate tecniche di lettura ed interpretazione di quanto ancora rimasto conservato. In particolare, dalle caratteristiche fisiche degli strati rocciosi e dal loro contenuto paleobiologico, le tracce fossilizzate degli antichi organismi, si possono dedurre molti dati utili.
L’Umbria è uno straordinario esempio dell’enorme frastuono di antichi eventi che giunge fino a noi, che ci circonda letteralmente confondendosi con la quotidianità e che chiamiamo evoluzione.
Negli ultimi tre milioni di anni il nostro territorio è stato teatro di intense modificazioni degli assetti ambientali legate, sostanzialmente, all’evoluzione dei rilievi della catena appenninica e delle depressioni vallive adiacenti, modellate nel tempo fino ad assumere l’aspetto odierno. L’Umbria vista dall’alto permette di disegnare il contorno di un’enorme depressione a forma di Y rovesciata, circondata completamente da rilievi montuosi e nota come Bacino Tiberino perché, per un notevole tratto, è solcata dal Fiume Tevere. Partendo dalla zona di San Sepolcro, a Nord, si allunga fino a Perugia in un unico ramo. Qui si divide in due: un ramo orientale fino a Spoleto ed uno occidentale che giunge ad occupare l’area di Terni. Questa conca intermontana, nel linguaggio dei geologi, è la più vasta di tutte quelle dell’Appennino e, nel corso della sua lunga evoluzione, è stata colmata dai sedimenti terrigeni, derivanti dall’erosione dei rilievi circostanti e smistati dai corsi d’acqua.
Per noi abitanti delle valli del Bacino Tiberino, quei tre milioni di anni li abbiamo tutti sotto i piedi, impressi negli antichi sedimenti, principalmente argillosi e sabbiosi, accumulatisi in enormi quantità a riempire quelle valli. Oltre alle caratteristiche fisiche e geometriche di questi strati sedimentari, che ne suggeriscono l’ambiente di deposizione, al loro interno si sono conservati una buona quantità di resti di antichi animali e vegetali che, nel tempo, si sono succeduti a popolare queste aree.
Un notevole impulso a tali ricerche, condotte dall’autore, si ebbe a partire dalla metà degli anni ’80 del secolo scorso. Alcune campagne di scavo, in giacimenti situati nelle aree meridionali del ramo occidentale del bacino, consentirono il recupero di abbondanti resti fossili grazie anche ai quali oggi è possibile delineare un quadro evolutivo generale del bacino suddiviso in tre fasi principali. La più antica, a partire da circa 3 milioni di anni fa, vede il territorio sottoposto al regime lacustre, ossia caratterizzato dall’accumulo di sedimenti argillosi all’interno di laghi, più o meno vasti e profondi, alimentati da corsi d’acqua. Il lago più esteso, finora noto, occupava l’area compresa fra le attuali Todi e Sangemini ed era alimentato da un corso d’acqua nei pressi di Todi. Si approfitta per sfatare, una volta per tutte, la leggenda che vede l’esistenza, in qualche periodo, di un unico gigantesco lago occupante tutto il Bacino Tiberino. Ebbene, tale situazione è del tutto falsata, non essendo supportata da prove geologiche. L’ unico Lago Tiberino noto è, quindi, quello fra Todi e Sangemini.
Intorno a 2 milioni di anni fa si innesca la seconda fase di evoluzione del bacino. Ora il territorio è sottoposto ad un regime fluviale, con un Paleotevere che arriva a lambire la conca di Terni. Resti di antichi mammiferi, scoperti in depositi fluviali fra Massa Martana e Sangemini, hanno consentito di definire con relativa chiarezza un modello fluviale a canali intrecciati. Nelle aree di pascolo stazionavano antilopi, mammuth, rinoceronti di foresta, diversi cervi, alcuni di grande taglia con palchi alti fino a due metri e mezzo, equidi simili a zebre. Iene grandi come leoni e felini dai temibili denti a sciabola si davano alla caccia. Insomma, una scena completamente diversa da oggi e caratterizzata da un clima più caldo dell’attuale.
La terza fase evolutiva, in vigore intorno a 1,5 milioni di anni fa, vede entrare in scena nell’area un altro importante attore: il Paleonera. Questo fiume, che prima solcava la pianura reatina, ora ha cambiato completamente percorso facendo ingresso nella piana di Terni, formatasi nel frattempo sempre in conseguenza del sollevamento dei rilievi montuosi.
Potremmo domandarci: ma che rilevanza può assumere una ricostruzione paleoambientale e perché è importante dedicarsi a tale attività? Il concetto è semplice; di certo, specialmente oggi, conoscere come si evolve l’ambiente in cui viviamo può aiutarci a comprendere l’entità dei danni che vi stiamo arrecando e quindi intuire quale potrà essere il nostro futuro. Se mai ne avremo uno.
Enrico Squazzini
Centro Ricerche Paleoambientali di Arrone