Mi mancherai, Mamma.

Mia madre non meritava di trascorrere gli ultimi due mesi di vita guardando la sua Cesi dalla finestra dell’ospedale: il suo unico e più grande desiderio era stare a casa, nel suo giardino col suo Sauro, accanto ai suoi nipotini. Nelle ultime settimane della sua vita, comunque, Loretta (come l’ho sempre chiamata anche tra le mura domestiche) non ha mancato l’occasione per insegnarmi qualcosa e per distinguersi.

Anche sul letto d’ospedale, prima di tutto, su con lo spirito! Progettare e guardare avanti. Un quaderno accanto a sé, nel quale appuntare qualche pensiero e gli immancabili promemoria fatti di liste lunghissime di cose tutte impellenti; spesso leggeva alcune di queste frasi a chiunque venisse a visitarla, perché voleva far sorridere le persone e sdrammatizzare la sua situazione, benché sapesse che c’era poco da scherzare.
Intorno al suo letto facce tristi, eppure lei sorridente e incoraggiante. Si preoccupava inevitabilmente per gli altri e per i loro sentimenti; la conferenza da rimandare, gli articoli da consegnare, gli impegni a casa che non accettava di dover delegare. Pensava, naturalmente, anche a La Pagina: il suo prossimo articolo avrebbe voluto dedicarlo ai medici e agli infermieri del reparto di Clinica Medica dell’ospedale di Terni.

All’ospedale, ha sempre elogiato l’impegno e la pazienza delle persone che l’avevano in cura. Apprezzava la dedizione e la competenza dei dottori; soprattutto riconosceva agli infermieri una ininterrotta disponibilità ad aggiungere una carica umana al loro lavoro. Le loro parole di incoraggiamento e solidarietà, la loro dolcezza nel prendersi cura di lei, sono qualità fondamentali e lei voleva rendergliene merito.

Ma mamma era anche profondamente ferita nel vedere com’è ridotto il nostro sistema sanitario. In passato era già stata in ospedale, ma mai aveva dovuto constatare un simile caos onnipervadente, dall’infernale pronto soccorso ai reparti con i corridoi che ormai sono file ininterrotte di letti con pazienti imbarazzati e disorientati. Questo la feriva, non solo per la sua condizione e per quella delle persone che vedeva soffrire accanto a lei, ma perché, per lei, assistere a una sanità pubblica ridotta così è un tradimento per la comunità, la morte del senso civico, la fine della civiltà.

Loretta aveva un forte senso della comunità: sentiva l’impegno per gli altri come qualcosa di doveroso, un modo per contribuire al miglioramento della società attraverso le proprie passioni e competenze. Mi piace pensare che il lavoro svolto per La Pagina in tutti questi anni da mia madre, ispirata e stimolata dal suo adorato Giampiero Raspetti e dalla meravigliosa schiera di persone dedite alla rivista, possa essere considerato un esempio di senso civico. Portare avanti certe idee, come quella legata al suo motto “Terni è bella”, per lei era una sorta di dovere civico nei confronti della sua comunità, alla quale sentiva così di
poter dare un contributo in termini di passione e rispetto nei confronti del nostro territorio.

È un esempio, una condotta, che ha guidato la mia crescita come figlio prima e come padre oggi. Spero, ne sono certo, che altri possano esserne ispirati e continuare il cammino con gli stessi intenti.

Simone Mazzilli