Umbria terra d’accoglienza, terra verde, terra d’arte, di spiritualità, è anche terra della buona cucina, terra dove la cultura del cibo ha una storia millenaria condita con l’eccellenza dei prodotti e con la convivialità. La nostra cucina coniuga tradizione, genuinità, fantasia e si avvale di un paniere di prodotti di eccellenza davvero unico: olio, pane, tartufo, carni, formaggi, vino, pasta acqua e farina, erbe di campo. Sapori antichi, profumi antichi.
Chi non ama le tagliatelle fatte in casa o le ciriole con il sugo aglio olio e peperoncino, magari con aggiunta di asparagi di bosco o funghi? Chi non si delizia con la panzanella o le bruschette che valorizzano l’ottimo olio locale. Chi non si appaga di piatti dai sapori decisi come i fagioli con le cotiche o con gli arrosti (oca agnello castrato maiale) accompagnati dalle erbe di campo o da un piatto di patate rosolate così saporite da volerne a iosa. Per non parlare delle zuppe di fagioli, di lenticchie, di farro o di strigoli. Piatti antichi dicevo: quelli delle nostre nonne che ci hanno lasciato in bocca una sensazione piena, completa, ricca a cui molti guardano con nostalgia. Sono i piatti poveri della tradizione contadina, il cibo quotidiano, quello che rispondeva alla primaria necessità di alimentarsi e che l’abilità delle donne riusciva a rendere gustoso e succulento grazie a una sapiente elaborazione. La carne era riservata alle feste calendariali o ai grandi eventi familiari: allora la quantità e la qualità del cibo diveniva opulenza, perché era il momento della socialità, della convivialità estesa a parenti ed amici.
Oggi il cibo delle feste è divenuto il cibo quotidiano. La carne è presente sulla tavola tutti i giorni e quei piatti “contadini” sono divenuti ricercati, tanto che sono riproposti non solo dalle sagre paesane che sempre valorizzano la cucina tipica ma, e spesso a caro prezzo, da grandi ristoranti: un’azione di recupero eccellente che coglie l’importanza della cultura della tradizione ed esalta i prodotti tipici e la cucina genuina, magari anche con quel poco di estetica (un piatto si mangia prima con gli occhi) che aumenta il piacere. Infatti la presentazione di un piatto è una forma d’arte: non è solo un fatto estetico o un’elucubrazione mentale, ma contribuisce a stimolare l’appetito e valorizzare il gusto. Si mangia con tutti i sensi. Il cibo è un linguaggio che bisogna imparare a conoscere: bisogna imparare a mangiare, a gustare sapori, a sentire profumi, a riconoscere gli antichi saperi. Se il cibo è prima di tutto necessità, esso è anche gusto, arte, bellezza, cultura. Il cibo è condivisione. La buona cucina, la cucina gourmet un tempo apprezzata da una élite di intenditori, oggi è entrata nelle case di tutti. Soprattutto è entrata a far parte di quel circuito culturale turistico che associa alla conoscenza di un luogo -monumenti, storia, arte, bellezze naturaliquella della cucina tipica; questo perché il cibo è parte integrante dell’identità di un territorio e racconta una storia di rapporti sociali, economici, culturali che nel corso di centinaia di anni hanno creato identità nazionali e locali.
Il cibo è cultura in quanto esso, fin dalle origini, è stato elaborazione. Quando gli uomini primitivi hanno cominciato a cuocere le carni degli animali uccisi, hanno operato la prima elaborazione del cibo (Levi Strauss disse che la cottura con il fuoco “ha reso umani gli umani”). L’elaborazione è continuata con la manipolazione dei cereali e dei prodotti coltivati: valga per tutti l’esempio del pane e degli impasti di acqua e farina. Con i primi uomini è nata anche la convivialità: dovevano comunicare per cacciare, coltivare, per manipolare il cibo. Poi seduti intorno al fuoco per mangiare, hanno creato il linguaggio di soddisfazione, di sazietà, di piacere o di disgusto. Il cibo ha assunto un forte significato simbolico, spesso rituale soprattutto nelle religioni, ma anche nella vita di ogni giorno: i gesti quotidiani per la preparazione delle pietanze e anche della tavola si sono codificate nel tempo, sono divenute modelli culturali di una famiglia, di un gruppo, di una comunità, contribuendo anch’essi alla formazione di una ben definita identità culturale.
Alcune considerazioni. Forse questi sapori antichi sono rimasti indimenticabili solo per chi ha una certa età, per chi ha conosciuto i piatti della nonna e della mamma, per chi si cimenta ancora in paste fatte in casa o in ragù e intingoli vari. La vita frenetica di oggi, il lavoro che tiene uomini e donne lontani da casa quasi tutto il giorno, ha cambiato le abitudini alimentari. Si comprano i cibi già pronti, si riscaldano i preconfezionati, ci si ferma al Mac Donald’s a farsi un panino. Tutto è cambiato. La donna che lavora e che comunque deve pensare ai figli, alla casa, ha un tempo ristretto. Allora deve fare riscorso all’insalata già lavata e preconfezionata, ai ragù in scatola, alle semplici fettine da cuocere in padella. Condividere i pasti a tavola è oggi sempre più desueto e la convivialità è spesso relegata a feste o riunioni con amici. Bisogna rendersi conto della realtà e accettarla, anche se con molta nostalgia. Tutto questo comporta una perdita culturale perché c’è perdita della memoria, delle tradizioni, del gusto e tutto si appiattisce su modelli culinari globalizzati.
L’Italia rispetto al resto del mondo occidentale è ancora il luogo della buona cucina. E lo è ancora di più l’Umbria per l’eccellenza dei prodotti e per la ricchezza dei piatti legati alla tradizione, ma anche per modi di vita e abitudini che privilegiano non solo la buona tavola, ma anche la convivialità. Un’ultima considerazione: la cucina oggi è divenuto un business e occupa grandi spazi, nei giornali e soprattutto nei talk-show che ossessivamente propongono gare e chef di grido. Al di là delle esagerazioni ed esasperazioni che sempre accompagnano le mode, vi è una diversa e più costruttiva attenzione all’enogastronomia, una più consapevole conoscenza dell’alimentazione, della genuinità e della tipicità dei prodotti, di una loro diversificata e più sana elaborazione che non può che giovare alla salute del consumatore. La valorizzazione e la protezione dei prodotti locali e la riscoperta di quelli di nicchia, la valorizzazione del biologico o comunque del genuino, una nuova scienza dell’alimentazione, dei metodi di cottura, la tutela della cucina tipica e tradizionale, sono gli elementi essenziali di una rinnovata cultura del cibo: in questo l’Umbria si pone all’avanguardia e, anche per questo, resta un’isola felice nel cuore dell’Italia.
Loretta Santini