
Le giovani donne si presentarono in abiti moderni e “in qualche modo rivoluzionari”: capelli corti, cravatte su camicie bianche e pantaloni, piglio sfrontato e sbarazzino, gonne corte. Donne consapevoli, che sanno di interpretare un’epoca non più da muse ispiratrici ma protagoniste creative e libere.
Questa mostra ha evidenziato ancora una volta l’interconnessione tra le arti. La pittura di Paul Klee e Kandinsky è assimilata e fatta propria nel decoro delle ceramiche, negli arazzi esposti alle pareti si avverte la lettura di Mondrian. Anche l’arte orientale è presente nei colori, nelle delicate volute dei disegni.
Tutto il design del Novecento è debitore di questa stagione artistica, non solo in Germania ma in tutta Europa. Compreso il nostro Paese e, in particolare, la nostra Regione. Mi viene in mente il primo Rometti di Umbertide: le sue teiere e tazze minimaliste ricordano quelle viste alla mostra al Caos.
Le avanguardie si scrutano, si conoscono, assimilano la commistione tra arte, artigianato, industria.
La mostra tenutasi al Caos ha avuto la presenza di oltre 2000 visitatori raggiungendo lo scopo di far conoscere a Terni una scuola programmatica che aveva al suo interno, almeno nei suoi primi anni una presenza femminile del 50% dei partecipanti. In seguito, tale percentuale si fermerà al 30% sino a scomparire del tutto con l’avvento del Nazismo. Walter Gropius il fondatore del Bauhaus a Weimar, era convinto che le donne fossero più adatte alla tessitura e alla ceramica piuttosto che all’architettura e ai metalli. I principi si scontravano con la pratica, con il comune sentire.
La mostra curata da Carlo Terrosi vuol celebrare soprattutto una donna, Margarete Heymann (1899 – 1990) con una esperienza umana e artistica degna di essere conosciuta. Entrata alla Bauhaus come allieva sin dalla sua origine nel 1919, trova la sua specializzazione nella ceramica. Ebrea di nascita, si trova a gestire una azienda da sola, dopo la prematura scomparsa del marito nel 1923.
I suoi manufatti sono delicati, raffinati nella loro forma improntata all’essenzialità, con una concessione all’estro creativo nei tondi leggeri che si ripetono nelle tazze, nelle teiere e in altri oggetti. Una specie di logo rappresentativo.
L’arianesimo che, anno dopo anno, penetrava sempre più nella cultura e nella società tedesca del tempo, colpiva frontalmente le attività degli Ebrei e anche l’azienda di Margarete, la Häel subì lo stesso trattamento.
Le continue pressioni e le mutate condizioni economiche la costrinsero a svendere la sua azienda nel 1933.
Con la promulgazione delle leggi razziali Margarete riuscì a fuggire dalla Germania, si rifugiò in Inghilterra dove continuò il suo lavoro da ceramista-designer senza però raggiungere il successo degli anni Venti.
La sua vita non ebbe un finale tragico come quella di tanti altri ebrei ma la sua parabola umana ripercorre le tappe di emancipazione femminile, creatività, pregiudizi e marginalizzazione sullo sfondo della tragedia del Nazismo.
Anna Maria Bartolucci