LA SFIDA DEL VELO IN IRAN

Dopo l’uccisione di Masha Amini, la giovane iraniana morta per non aver indossato correttamente l’hijab, il velo che deve coprire i capelli delle donne secondo il precetto islamico, le nuove generazioni hanno dato vita al movimento femminista “Jin, Jiyan, Azadi” (“Donne, Vita, Libertà”). Il capo della polizia Ahmad- Reza Radan sostiene che è meglio prevenire le proteste piuttosto che spegnerle e ha spiegato che il governo sta ridisegnando lo spazio pubblico con l’aiuto dell’intelligenza artificiale, ovvero piazzando telecamere con il riconoscimento facciale nei posti strategici, come i bancomat o i giochi nei parchi pubblici, con lo scopo di documentare chi non indossa correttamente l’hijab.

Il Ministero per la Promozione della Virtù e la Prevenzione del Vizio ha diramato nuove regole secondo le quali, per chi non rispetta il precetto islamico, è previsto il blocco del prelievo bancario e l’interdizione dai pubblici uffici. È un provvedimento che mira a colpire le studentesse, impedendogli di pagare la retta universitaria e di richiedere il passaporto e la patente. Non tutti nel governo sono d’accordo, quando si è ventilata l’ipotesi di vietare il diritto all’istruzione a chi perpetua il reato, una consigliera conservatrice ha ribattuto che non si può combattere la violazione delle norme con altrettanta illegalità.

Il Ministero ha inoltre chiesto agli automobilisti di segnalare le donne che guidano senza velo, reato che prevede la confisca del mezzo.

Nel Corano non c’è scritto che le donne debbano coprirsi con un velo, sono state le scuole di diritto sunnite a imporre l’hijab. L’Iran sciita ha sempre lasciato libertà al fedele, neanche l’ayatollah Khomeini aveva imposto il velo, la scelta è stata presa nel 1983 da una parte del clero sciita.

In Iran c’è una netta separazione tra la sfera privata e quella pubblica, nel privato certe cose sono tollerate, ad esempio a Teheran c’è chi coltiva la vite nel giardino e chi ascolta la musica in casa, basta non ostentare in pubblico questi vizi occidentali proibiti, non si tratta di ipocrisia, ma di una libera interpretazione della taqiyya,un precetto sciita che prevede il dovere di rinnegare la propria fede in previsione di un pericolo, in pratica una dissimulazione a fin di bene che qualcuno però interpreta anche al rovescio, cioè ostentando la fede in pubblico e lasciandosi andare a qualche peccato nel privato; per cui è lecito in casa non indossare l’hijab, ma in pubblico è un obbligo di fede.

Come spiega Cecilia Sala in L’incendio. Reportage di una generazione tra Iran, Ucraina e Afghanistan (Mondadori 2023), le ragazze hanno risposto a queste restrizioni lanciando una sfida in cui si fotografano senza velo abbracciate al fidanzato oppure alle spalle dei poliziotti, senza far vedere il volto, e poi mettono le immagini in rete. È una trasgressione che sfugge al controllo della polizia, una presa in giro che dimostra come le nuove generazioni siano sempre più insofferenti e meno intimorite verso i codici della Rivoluzione Islamica.

Francesco Patrizi