LA GEOPOLITICA DELLE EMOZIONI

UNA CHIAVE PER COMPRENDERE IL MONDO CONTEMPORANEO

Riflettendo sulle tensioni che hanno caratterizzato lo scenario internazionale del 2024, emerge con forza il concetto di geopolitica delle emozioni, sviluppato dal politologo francese Dominique Moïsi.

Questa teoria, ancora oggi di grande attualità, offre una prospettiva innovativa per interpretare lo scenario globale, sempre più frammentato e segnato da contrapposizioni.

In passato, la tesi dello scontro di civiltà di Samuel Huntington ipotizzò che i conflitti futuri non sarebbero stati determinati da ideologie o dall’economia, ma da differenze culturali e religiose.
Huntington, in particolare, metteva l’accento sul confronto tra Islam e Occidente, spesso descritto come uno scontro irriducibile di valori e identità. Tuttavia, questa visione, che tende a collegare in modo semplicistico l’Islam al fondamentalismo, risulta inadeguata in un mondo complesso, in cui fedi e culture aspirano alla convivenza pacifica. Sebbene il radicalismo islamista e il pregiudizio islamofobo abbiano alimentato divisioni crescenti, non si può ignorare che il multiculturalismo rappresenti l’unica alternativa valida alla violenza e alle persecuzioni.

La teoria di Dominique Moïsi introduce un approccio diverso, radicato nelle dinamiche emotive collettive. Egli identifica tre grandi emozioni che dominano il panorama internazionale: paura, umiliazione e speranza. In questo schema lo scontro non è più tra civiltà, ma tra emozioni.

L’Occidente è dominato dalla paura; il mondo arabo e musulmano vive l’umiliazione; le economie emergenti, come Cina e India, sono animate dalla speranza. La paura è l’emozione che oggi caratterizza molte società occidentali. Essa nasce dall’insicurezza economica, dalla minaccia del terrorismo e dalla percezione di un declino globale. In Europa, il timore di perdere la propria identità di fronte ai flussi migratori e al confronto con culture diverse genera tensioni profonde. Questo si traduce spesso in politiche protezionistiche, inasprimento delle leggi sull’immigrazione e rafforzamento dei controlli alle frontiere.

A livello globale, l’Occidente teme la perdita del primato economico e politico, consolidato nei secoli. L’ascesa di economie emergenti basate su risorse concrete e produttività accresce ulteriormente questa insicurezza.

L’umiliazione è l’emozione predominante in molte aree del mondo arabo e in Russia. La Russia, dopo la fine dell’Unione Sovietica, ha vissuto il rimpianto di un passato glorioso. Attualmente Putin con le sue iniziative belliche cerca di recuperare un ruolo centrale nello scacchiere politico globale. Nel mondo arabo, invece, si avverte un senso di emarginazione storica. Nonostante il ricco patrimonio culturale e religioso, molti Paesi si sentono esclusi dalle dinamiche della globalizzazione. Questo sentimento può degenerare in violenza e radicalismo, come dimostrano le derive jihadiste. In netto contrasto, l’Asia è animata dalla speranza. La Cina, nonostante abbia attraversato crisi di assestamento, l’India e altre economie emergenti guardano al futuro con ottimismo, sostenute da una crescita economica stabile.

Sebbene non manchino sfide interne, la fiducia nel progresso rappresenta una forza propulsiva. Cina e India, in particolare, incarnano questa visione, dimostrando resilienza e capacità di pianificazione a lungo termine. Moïsi sottolinea che emozioni come rabbia e umiliazione possano alimentare conflitti. Sentimenti di ingiustizia e frustrazione, radicati in storie di oppressione e marginalizzazione, possono trasformarsi in movimenti di protesta o addirittura in terrorismo. La Primavera Araba del 2011 è un esempio di come speranza e rabbia possano mescolarsi, dando vita a richieste di riforme spesso soffocate dalla repressione.

D’altro canto, l’orgoglio, quando è un sentimento sano, può essere un collante sociale. Tuttavia, quando si trasforma in nazionalismo aggressivo, può generare divisioni e conflitti. Nell’era digitale, i social media amplificano le emozioni collettive, rendendole virali. Eventi locali possono trasformarsi rapidamente in crisi globali grazie alla velocità di diffusione di immagini e narrazioni emotive. Questa accelerazione ha conseguenze geopolitiche significative: i video di violenze o le fake news polarizzano le società, mentre governi e attori non statali sfruttano queste dinamiche per influenzare opinioni pubbliche e decisioni politiche.

La geopolitica delle emozioni, come suggerisce Moïsi, ci invita a leggere le relazioni internazionali attraverso una lente diversa, in cui le emozioni collettive diventano protagoniste. Comprendere queste dinamiche è essenziale per affrontare le sfide globali e costruire un mondo più cooperativo. La paura, l’umiliazione e l’odio devono essere sostituiti da speranza e da collaborazione. Come diceva Lao Tse, “un viaggio di mille chilometri inizia sempre con un piccolo passo”. In questo nuovo anno, l’umanità deve trovare il coraggio di compiere quel passo verso un futuro più equilibrato e solidale.

Roberto Rapaccini