“In questa nuova Repubblica non ci somiglia nessuno” così cantava Antonello Venditti nel 1995 e a distanza di quasi 30 anni la relazione tra la classe politica e le nuove generazioni è tutt’oggi dibattuta e complicata. Da una parte la prima, vincolata spesso alla sua forma tradizionale, appare di fatto incapace di accogliere le istanze di trasformazione e di cambiamento. Dall’altro i giovani, tacciati regolarmente di disaffezione e di disinteresse verso la vita partecipativa e il dibattito politico. La conseguenza è un sentimento di reciproca sfiducia e l’idea non certo positiva che la partecipazione politica sia inutile. Si è creata una situazione di stallo che non giova affatto ad entrambi. Secondo la generazione Z (così vengono chiamati i nati dopo il 1996) è la politica che non si impegna a prendere in considerazione le esigenze del mondo giovanile che vorrebbe e meriterebbe maggiore attenzione. I partiti hanno perso la capacità di attrarre l’interesse collettivo e di incanalare idee e nuove energie.
Il report 2020 dell’ISTAT dimostra, dati alla mano, che tra i giovani dai 18 ai 34 anni sia la partecipazione politica diretta che quella indiretta sono in calo, sfiorando il 50% per la fascia di età tra i 14 e i 18 anni. I dati rivelano una crescita progressiva di sfiducia nel voto, diritto dovere alla base di ogni sistema democratico, considerato dalla maggior parte di loro non più il mezzo con cui cambiare le sorti del paese, come lo hanno dimostrato le recenti elezioni del 25 sett. 2022 in cui l’affluenza è scesa sotto il 70%. Secondo i sondaggi sei giovani su dieci non si sentono rappresentati, più della metà si considera coinvolto, ma scettico sui partiti, mentre solo l’11% ritiene che frequentare la sede di un partito sia utile per costruire un paese migliore. Dati preoccupanti che la dicono lunga sul disimpegno politico del mondo giovanile. Su questo punto , senza nulla togliere alla indubbia professionalità di sondagisti, sociologi ed esperti del settore, porto come testimonianza anche la mia esperienza di trentotto anni di insegnamento nella Scuola Secondaria, durante i quali, stando a contatto diretto con i giovani, ho potuto seguirne i vari cambiamenti, i momenti di esaltazione e i momenti di delusione profonda, gli slanci passionali e il loro progressivo affievolimento dietro le vicissitudini socio- politiche a volte drammatiche dello Stato italiano negli ultimi decenni del secolo scorso. Ho iniziato la mia carriera di insegnante di liceo agli inizi degli anni 70 con classi che ancora erano sotto l’effetto dell’onda rivoluzionaria del 68, l’anno in cui esplose la contestazione studentesca. Furono anni difficili, il rapporto con i ragazzi era complicato da ideologie estremiste che vedevano nella istituzione scolastica e nel corpo docente l’espressione della classe borghese, autoritaria e discriminatrice, di conseguenza anche il dialogo divenne difficoltoso. Molte obiezioni si possono muovere al metodo usato da alcuni studenti, la violenza verbale e poi fisica non hanno mai portato a risultati positivi, tanto per parlare chiaro, ma è fuor di dubbio che molti di loro erano ideologicamente preparati e, quando discutevi con loro, ci voleva poco ad accorgersi dalle argomentazioni addotte che quelle erano le loro ferme convinzioni nelle quali credevano profondamente. Erano come mossi da uno slancio, direi, fideistico, al punto che molti di essi abbandonarono i partiti in cui militavano prendendo la pericolosa deriva dell’eversione, tra cui un mio ex compagno di banco vissuto per molti anni in esilio in Francia e riapparso a Terni solo alcuni anni fa. Fu una fiammata breve ma intensa che scosse non solo il mondo della scuola, ma l’intera società civile, poi, come tutte le fiammate finì per diminuire progressivamente di intensità fino a spegnersi, lasciando via via il posto alla disillusione e al fenomeno del riflusso nel privato come risposta alla presa di coscienza del fallimento di tante lotte e della irrealizzabilità di tante utopie. All’impegno si sostituì gradatamente la disaffezione per la politica, fino al disimpegno. Attualmente i giovani danno fiducia alla figura del Presidente della Repubblica. Meno affidabili sono giudicati i partiti politici, il Parlamento e il sistema giudiziario. La tv, i social network sono i principali canali di informazione della Generazione Z.
Il 66% di loro si dichiara interessato alla politica contro un 60% che non si sente rappresentato da nessun partito. Di contro il 65% degli intervistati dichiara che la situazione non migliorerà fin quando non ci sarà un cambio generazionale nella classe politica, con l’arrivo di rappresentanti più giovani. Intanto il 70% di loro se ne va a lavorare all’estero, visto come unica soluzione per veder valorizzata la propria professionalità. Un bel rischio per la “Azienda Italia” dei prossimi decenni!
Pierluigi Seri