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Intelligenza artificiale ed empatia

A detta degli esperti sarà l’empatia a salvarci dalla completa sostituzione da parte delle intelligenze artificiali, perché saper risolvere i problemi è solo una parte del tutto. Ma dove sono oggi i confini tra machine learning, ovvero la capacità dell’intelligenza artificiale di imparare e la creatività propria dell’uomo?

Sembra infatti che per un bel po’ saremo ancora noi, gli esseri umani, a guidare le macchine. Perché le azioni, i risultati, le soluzioni che quest’ultime forniscono vanno applicati ad un contesto umano fatto anche di empatia e creatività.

Ad esempio, se un amico ci chiede un consiglio per un ristorante da cenetta romantica con la fidanzata, magari per un’occasione speciale, probabilmente formuleremmo una risposta sulla base di una serie di parametri del tipo: atmosfera accogliente ed intima, servizio garbato e non invasivo, buon cibo, lista dei vini all’altezza e magari quel quid in più che possa stupire o sorprendere. Sulla base dell’importanza percepita di ciascuno di questi elementi, di quanto conosciamo dei gusti dell’amico in questione, della fidanzata, della loro storia e delle nostre esperienze pregresse, daremmo i nostri consigli.

Se lo stesso amico ponesse ad un’intelligenza artificiale, quindi ad un cosiddetto algoritmo di apprendimento, la medesima richiesta, questa metterebbe in relazione tra loro tutti gli attributi che le risultassero essere inerenti l’oggetto “cenetta romantica”, quali ad esempio, distanza, giudizi e prezzi dei ristoranti ed elaborerebbe un modello in base ad essi, fornendo un elenco di decine di ristoranti valutati come adatti, senza che ne sia noto il processo di elaborazione.

In effetti, si va sempre più affermando l’importanza di un vero dialogo con l’“interlocutore umano”, cercando di riconoscerne le emozioni in modo da generare reazioni adeguate e non meri freddi calcoli. Si parla in questo caso di “empatia artificiale” ed è definita come: “la capacità di un sistema informatico di formare una rappresentazione dello stato emotivo di un interlocutore e contemporaneamente essere consapevole del meccanismo causale che ha indotto quello stato emotivo”. Abbiamo già le prime applicazioni pratiche: l’utilizzo di tecnologie di riconoscimento delle emozioni come supporto agli agenti di frontiera all’aeroporto di New York; un distributore automatico che eroga gratuitamente caffè ai viaggiatori stanchi; la campagna pubblicitaria della Nike basata sul riconoscimento delle espressioni facciali.

Ma non finisce qui. Sappiamo che “ha letto cinquantatré libri di medicina, analizzato due milioni di cartelle cliniche e quattrocentomila pubblicazioni e referti e ha superato l’esame nazionale di licenza medica in Cina”. Non si tratta di uno studente particolarmente brillante, ma di un robot: il primo al mondo ad esser stato sottoposto a un percorso formativo simile. Riportano le news che il suo nome è Xiao Yi e sembra che già da marzo 2018 arriverà in corsia. Tuttavia non sostituirà i suoi colleghi in carne e ossa in quanto non è ancora in grado di gestire gli imprevisti; ecco nuovamente un fattore umano difficilmente replicabile, neppure dalla macchina più brava ad apprendere. Potrà però interfacciarsi con i suoi colleghi umani e aiutarli a ragionare sulle diagnosi.

Durante il coffee break di un recente meeting a Roma, parlando di intelligenza artificiale fra i convenuti, alla domanda “che cosa vorresti che l’intelligenza artificiale facesse per te, nella tua quotidianità?”, la maggioranza ha velocemente risposto: “che portasse a spasso il cane quando non lo fanno i miei figli”. Che dire, un giorno, forse…

Alessia Melasecche

Redazione:
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