Si inaugura oggi, una nuova rubrica sul giornale “La Pagina”, che tratta, la materia Informatica a 360 gradi.
Lo scopo che si prefigge, è quello di veicolare informazioni, conoscenze ed esperienze, in una forma semplice e spero, comprensibile.
Innanzi tutto, mi presento, mi chiamo Raffaele (Sistemista informatico) e la mia storia, nel campo dell’informatica, ha inizio nel 1983, anno in cui, terminato il Liceo Scientifico “Galileo Galilei” mio malgrado, mi sono dovuto approcciare subito al mondo del lavoro.
Dopo la scomparsa prematura di mio padre, infatti, ho dovuto abbandonare i miei sogni di diventare un architetto, per iniziare subito a lavorare. Certo, sarei potuto andare ad occupare il posto lavorativo di mio padre in fabbrica, all’epoca c’era ancora l’usanza di tramandare il posto di lavoro, ma la fortuna ha voluto, che potessi avere l’opportunità di entrare nella nascente concessionaria Olivetti di Terni.
All’epoca, mi ricordo, non sapevo neanche cosa fossero o a cosa servissero i computer, se non per il fatto che ci si poteva giocare ai video giochi ed eventualmente fare delle lettere o immagazzinare dati in generale, creando una sorta di archivio (database), per i più “smanettoni”, c’era la voglia di capire come si potessero creare queste cose.
Molti ragazzi della mia età, all’epoca, già si cimentavano nella programmazione su computer come IBM, Commodore 64, Vic 20, ZX Spectrum, Atari. (Quale fu il primo della storia? Si ritiene l’Apple II nel 1977 progenitore del personal computer, dotato di monitor dedicato e tastiera in un unico blocco). I linguaggi di programmazione, generalmente più usati, erano il Basic, Fortran e Cobol.
La cosa che accomunava questi prodotti, era il fatto di essere dei home computer (console), cioè dei calcolatori ad uso domestico, economici ed accessibili a tutti. In generale, il corpo era perlopiù una voluminosa tastiera al cui interno c’era tutta l’elettronica ed i dispositivi e che doveva essere collegata ad un monitor (opzionale) o al televisore. Erano dotati di processore a 8 Bit1 interfacce semplici testuali e con memorie di massa costituite da audiocassette o cartucce e potevano usare il joystick, non prevedevano driver2 e potevano eseguire un lavoro per volta (monotask) da un utente alla volta (monoutente).
Col progredire della tecnologia, l’home computer si trasformarono in Personal Computer (PC), cioè, dei computer completi di monitor, unità centrale, tastiera e mouse collegati separatamente.
La potenza di calcolo crebbe a 16 Bit, si potevano collegare periferiche come la stampante o lo scanner, utilizzavano come supporto di massa dei Floppy Disk da 5,25” ed in seguito Hard Disk più capienti. Il primo vero computer che si è avvicinato, sia esteticamente che tecnologicamente agli attuali PC desktop (da scrivania) è stato l’IBM 5150 nel 1981.
La cosa che differenziava tutti questi prodotti, era il sistema operativo3, proprietario ed incompatibile con tutti gli altri (non si “parlavano” tra loro). In informatica, si chiama sistema operativo, quel particolare programma che fa da intermediario tra l’utente e il computer, e al tempo stesso permette al computer di gestire più applicazioni software specifiche.
Le varie aziende nel settore informatico dell’epoca, come IBM (pc dos), Apple (apple dos), Olivetti (pcos) ecc.. stavano cercando di imporre il proprio standard nel mercato dei personal computer, che avrebbe comportato la supremazia commerciale, spingendo i programmatori, a sviluppare applicativi dai più svariati compiti e utilizzi. Ricordiamoci sempre, che l’hardware (computer fisso e tangibile), senza il software (programmi o istruzioni di natura immateriale modificabili), sarebbe inutilizzabile, come d’altronde viceversa.
Fino ad allora, il primo vero e proprio standard industriale nel settore dei personal computer, era il sistema operativo CP/M che era distribuito su floppy (dischi) da 8” che in seguito passarono al formato da 5,25”. I programmi per il CP/M erano portabili tra macchine diverse e questo rese possibile un grande sviluppo di software ed una larga diffusione di macchine. Fu proprio in quegli anni (’80), che le cose cambiarono… ma questa è un’altra storia…
Raffaele Vittori