IL VELO ISLAMICO

Torna periodicamente di attualità la questione del velo islamico, ovvero il dibattito sulla compatibilità di una tipologia di abbigliamento, adottato da molte donne musulmane, con le normative vigenti nei Paesi occidentali. È un tema complesso, perché coinvolge scelte individuali, diritti delle donne, norme sociali, aspetti di integrazione culturale, questioni di sicurezza, rapporti tra religione e istituzioni.
La problematica è sia religiosa che culturale.

È religiosa poiché nell’Islam il velo può essere considerato un corollario dell’applicazione di un precetto contenuto nel Corano; infatti la Sura XXIV prescrive…alle credenti di abbassare i loro sguardi ed essere caste e di non mostrare, dei loro ornamenti, se non quello che appare; di lasciar scendere una copertura fin sul petto e non mostrare i loro ornamenti ad altri, che ai loro mariti, ai loro padri…

Come si evince dal contenuto letterale della Sura, il Corano non prescrive uno specifico e determinato tipo di abbigliamento, ma invita le donne a vestirsi in modo tale da sottrarre allo sguardo altrui le bellezze tipicamente femminili ovvero le forme del corpo; si tratta di un dovere che, pur esprimendo l’identità islamica della donna, va declinato nei diversi contesti culturali e locali. Conseguentemente esistono diversi tipi di velo che assicurano un differente grado di copertura a seconda delle interpretazioni religiose, delle tradizioni locali, delle preferenze personali.

In proposito, le principali tipologie di velo islamico sono: l’hijab, che copre collo e spalle lasciando scoperto il volto; il niqab, che copre tutto il volto tranne gli occhi; il burqa, che copre interamente il corpo e il volto, con una griglia all’altezza degli occhi per consentire alla donna di vedere; lo chador, un mantello che copre il corpo lasciando scoperto il volto. Per molte donne indossare il velo è un atto di devozione e conformità ai precetti dell’Islam.

In alcuni contesti occidentali il velo può rappresentare anche un modo per rivendicare un’identità culturale diversa e manifestare il rifiuto dell’omologazione occidentale. In proposito, soprattutto in Francia, fra molte giovani studentesse di origine maghrebina c’è un ritorno all’uso del velo islamico al fine di ricordare ed evidenziare le proprie origini. Se indossare il velo è il risultato di un’imposizione della famiglia o della comunità e non è la conseguenza di una scelta libera e consapevole, emergono interrogativi sulla possibile violazione della libertà individuale.

In Paesi che hanno una forte matrice laica (come la Francia) il divieto di indossare il niqab e il burka nei luoghi pubblici è un corollario del divieto di esibire simboli religiosi. In maniera simmetricamente opposta in altri ambiti nazionali (come il Regno Unito e gli Stati Uniti) la libertà religiosa è prioritaria e quindi si impone un approccio più inclusivo. In alcuni Paesi (come Belgio e Svizzera) i veli integrali (quelli che coprono interamente il volto, come il niqab e il burqa) non possono essere indossati in pubblico per motivi di sicurezza, in quanto impediscono il riconoscimento di chi lo indossa.

Inoltre, nei Paesi occidentali l’uso del velo islamico, nelle tipologie maggiormente coprenti (come il niqab e il burka), potrebbe essere contrario all’ordine pubblico, in quanto, oltre ad impedire la riconoscibilità della persona, potrebbe costituire un mezzo per l’occultamento di materiale esplodente, armi o, in ogni caso, oggetti o sostanze non consentiti.

In Italia l’articolo 5 legge 152 del 22/5/1975 nell’attuale formulazione vieta l’uso di caschi protettivi, o di qualunque altro mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona, in luogo pubblico o aperto al pubblico, senza giustificato motivo.
La norma intende impedire comportamenti che possano ostacolare l’identificazione personale da parte delle Forze dell’Ordine. Tuttavia, il divieto non è assoluto, ma, come è evidenziato dall’inciso senza giustificato motivo, può essere derogato in presenza di particolari situazioni (es. motivi di lavoro, salute,
religione o altre circostanze legittime).

Le motivazioni religiose possono costituire un giustificato motivo? In concreto si tratta di bilanciare due opposte esigenze: da una parte la libertà religiosa (Art. 19 Cost.), ovvero il diritto di professare liberamente la propria fede religiosa (che può includere l’obbligo di un determinato abbigliamento); dall’altra parte ci sono i doveri da osservare per la sicurezza generale e l’ordine pubblico (Art. 16 e 17 Cost.). Le decisioni giurisprudenziali relative al bilanciamento dei due opposti principi costituzionali (libertà religiosa e sicurezza) hanno dato luogo a una casistica molto varia, che indica che il giudizio in questione formulato dalle autorità competenti risente delle peculiarità dei casi concreti.

In conclusione, vietare il burqa o il niqāb per motivi di sicurezza in determinati contesti è legittimo se il divieto è giustificato dalla necessità di identificare una persona. Più precisamente, pur non esistendo una illiceità generalizzata, il divieto di abbigliamenti che rendono difficoltoso il riconoscimento è legittimo in luoghi sensibili (come, ad esempio, aeroporti, tribunali o uffici pubblici), dove è necessaria l’identificazione personale.

Roberto Rapaccini