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 Il Metaverso e la didattica

Metaverso, ecco una nuova parola entrata da pochissimo nel nostro vocabolario. Prima di addentrarci nell’argomento è bene chiarirne il significato. Da quando l’informatica è penetrata in tutti i settori della nostra società siamo letteralmente invasi da strane parole come CHAT BOT, LLM, GPT ecc., tutte sigle, acronimi di origine anglosassone. Stavolta la parola in questione è invece di origine greco-latina, formata da una preposizione greca “metà” che significa “ali là di” e la parola latina “universus” che significa” tutto” ovvero “al di là tutto”.

Un mondo che trascende quello fisico. Esso si richiama ad Aristotele che nella nota Metafisica esplorava ciò che si trovava dopo e oltre la fisica.

Il Metaverso consiste in uno spazio tridimensionale dentro il quale le persone fisiche possono muoversi condividere e interagire. Un mondo virtuale, universale e immersivo facilitato da visori per la realtà virtuale (VR) e la realtà aumentata (AR).

Fatta questa necessaria premessa entriamo nell’argomento quando, indossato il casco visore, ti trovi proiettato all’improvviso in un mondo altro. Sei solo, meravigliato ed eccitato come un bimbo al luna park. Esplori una dimensione diversa, personale, quasi intima, ma anche stimolante specie per chi prova ad inventare nuovi contenuti.

La prima sensazione consiste in un senso di leggera claustrofobia, simile a quando si indossa una maschera da sub, poi ti appare un nero profondo e innaturale, infine compaiono le prime immagini in 3D e tu sei lì dentro. Ti verrà spontaneo guardarti le mani e muoverle, poi comincerai ad avventurarti in questo mondo altro che da un lato ti incute timore dall’altro ti attira, infine ti trovi in luoghi dove non avresti mai immaginato di essere, come sulla cima del K2 insieme ad altri alpinisti o in fondo al mare circondato da squali o nello spazio a bordo della base ISS perfettamente ricostruita. Il visore è come una tuta da astronauta che ti permette di visitare luoghi lontani e inaccessibili.

Tale esperienza può provocare disturbi fisici chiamati “cybersikness” o “motion sikness” i cui sintomi sono nausa, capogiro o vertigini.

Questi disturbi che variano da persona a persona sono causati dall’illusione della realtà virtuale perché quanto avviene là dentro è una truffa al nostro cervello. La VR funziona quando l’illusione è realistica, ma quando non lo è e il nostro cervello se ne accorge, ecco che iniziano i disturbi. Bisogna dire però che con lo affinarsi delle tecnologie hardware lo spazio 3D è stato sfruttato appieno rendendo gli ambienti più dettagliati e realistici e dando la possibilità all’utente di muoversi in tutte le direzioni e di muovere le mani manipolando oggetti come farebbe nella realtà. I caschetti sono diventati più leggeri e i produttori di contenuti hanno via via realizzato esperienze in grado di ridurre gli effetti della” motion sickness”.

Una scoperta importante nella neuroscienza è stata fatta dai coniugi Moser nel 2014 che hanno scoperto nella corteccia entorinale l’esistenza di neuroni che servono ad indicare la posizione del soggetto nello spazio. Una sorta di GPS incorporato nel nostro cervello.

Questi neuroni servono anche come memoria autobiografica permettendo di costruire la nostra identità associandola ai luoghi frequentati, fondamentali per l’apprendimento. Le classi, la scuola sono luoghi di apprendimento dove la nozione si consolida. Essi però, secondo studi recenti, non si sono attivati con la DAD durante la pandemia o nei meeting su zoom e ora si stanno facendo ricerche per creare condizioni per poterli attivare anche in ambiente virtuale.

Secondo il prof. Andrea Gaggioli dell’Università Cattolica del Sacro Cuore dai tempi dell’antica Grecia impariamo nello stesso modo cioè in luoghi fisici chiamate classi con un docente che insegna.

La lezione frontale con o senza lavagna luminosa, con o senza collegamento in rete è sempre avvenuta con le stesse modalità in modo faticoso perché, so per esperienza, che è sempre più complicato mantenere la concentrazione nelle classi. È ormai un dato di fatto che va affrontato e per il quale è necessario trovare nuovi sistemi di apprendimento.

L’ingresso degli smartphone in classe è un elemento di forte distrazione. Ditemi quanti resistono senza dare una sbirciata al telefonino con il quale si vive quasi in simbiosi. Quante volte si vedono giovani e non che, pur stando insieme, non si parlano, ma stanno con gli occhi fissi sul display.

Se si pensa a un caschetto di VR e al Metaverso, allora siamo di fronte al massimo della fuga dalla realtà, la più compiuta. I rischi per le future generazioni sono evidenti, Questo è il motivo che bisogna necessariamente fare studi approfonditi al fine di affrontare con serietà il problema.

                                                                              Pierluigi Seri

                                                                                                                                           

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