Se me ne stessi tappato, in casa o in ufficio, non potrei prender nota della sfilza interminabile di negozi chiusi e di serrande serrate della mia desolata città. Parlerei solo con la marchesa e le direi: che bello, madama, tutto va bene. Non prenderei atto da quanti decenni alcuni locali, al centro di Terni, siano del tutto inutilizzati. Poiché, però, esco tutti i giorni, vedo, capto, sento e mi rattristo. Posso solo sperare che, prima o poi, qualcuno dei cosiddetti responsabili esca dal proprio guscio e si accorga di quel che intorno avviene. Percorro le strade in bici (la nostra è una città che potrebbe essere tranquillamente attraversata anche soltanto con le dueruote!) e guardo, osservo, rifletto, anche se bruscamente interrotto, non di rado, da auto parcheggiate incivilmente, accatastate qua e là per ostruire ogni pertugio. Che infamia, lasciare il cuore della città in questa sorta di cimitero per auto! Ma questo è, invero, un altro capitolo dolente: stendiamo, un velo pietosissimo! Se mi isolassi, dunque, non penserei che occorrerebbe intervenire capire prevenire prevedere discutere proporre. Cercare cioè di risolvere, per quanto possibile, sempre che non arrivi, ex abrupto, qualche faccendiere interessato solo a se stesso o qualche grossolano muratore che, credendosi raffinatissimo architetto, ricominci a far dilagare cemento con un esito tombale per Terni! Non si tratterebbe, allora, solo di prevedere; servirebbe, invece, semplicemente vedere (o saper vedere, come ci insegnava uno dei più illustri professori del quale sono stato allievo: Bruno De Finetti!). E, accanto al naturale desiderio (che è anche dovere) di ogni cittadino, quello di concorrere a rendere più prospera e civile la propria città, ci si dovrebbe immergere in riflessioni che ci consegnino un futuro sostenibile e, perché no, sappiano anche prendere in considerazione quel che sarà dei tanti locali ieri adibiti a negozi e oggi serrati.
Usciti dalla sfera analogica, dobbiamo fare i conti solo con quella digitale, tecnologia che investe ogni cosa: uno smartphone, un computer, un abito, un formaggio, un ufficio, una sedia. Si tratta di tutti oggetti connettibili, tutti potenziali generatori di dati (vada a studiare Pitagora, chi non lo hai mai fatto!). Dobbiamo fare i conti, in particolare, con: la città intelligente (smart home), l’attività di coordinamento di persone o oggetti ai fini di una più elevata efficienza produttiva (logistica), la telelettura e la telegestione dei contatori di energia (smart metering), la vendita diretta al consumatore finale (retail), l’edilizia intelligente con il monitoraggio dei consumi e della sicurezza (smart building). Gli abitanti del pianeta Terra sono oggi poco meno di 8 miliardi, ma i dispositivi elettronici connessi in rete sono decine e decine di miliardi, in crecita acceleratissima. Saremo dunque tutti cittadini sempre più interattivi e connessi e i nostri comportamenti tenderanno a modificare costantemente abitudini e luoghi in cui viviamo.
Anche solo a partire dal commercio, si potrà ben capire come tutto sia inserito in una architettura globale che comporta inedite conseguenze per urbanistica, arredo, socialità: per l’idea stessa e il volto futuro della città. Alcune cose sopravvivono e si potenziano, altre svaniscono, oggi molto più rapidamente che non nel passato. Intanto si sta radicalizzando la differenza tra fare spesa e fare shopping. Fare la spesa ha sempre significato, nel gergo comune, acquistare generi alimentari (per un solo giorno o per qualche giorno). Si fa la spesa nei ritagli di tempo e, di solito, molto alla svelta. Codesta spesa si farà sempre più on line. Gli stessi supermercati alimentari locali si sono da tempo ben organizzati e il volume di merce così commerciato cresce di ora in ora.
Per acquistare altri prodotti, invece, per esempio beni di seconda necessità, non si dice così. Si dice: vado a fare acquisti o, americanizzando, vado a fare shopping (dall’inglese shop, negozio). Si va, cioè, in giro di negozio in negozio per guardare, memorizzare, comparare, fare poi acquisti. Lo si fa, in genere, impiegando molto tempo, nelle vie del centro, guardando negozi belli o tipici (shopping del sabato pomeriggio!). Il futuro del commercio in città sarà allora quasi esclusivamente quello per diporto. Chi fa shopping vuol passeggiare su strade o piazze pulite, rigorosamente in isola pedonale, senza dover fare attenzione a motori inquinanti di sorta. Vuole stare in luoghi parco, con alberi, aiole, fiori, essenze arboree profumate. E con luoghi ristori, con negozi dinamici, del tutto particolari. Vuol trascorrere del tempo in un ambiente confortevole, sereno, anche allegro e festoso (perché no?), in cui, magari, si ascolti musica o ci si intrattenga con negozianti colti, simpatici, in grado di ben colloquiare.
Lo shopping, infatti, non consiste soltanto nell’acquisto in sé; spesso implica un vero e proprio rito che può impegnare anche una mezza giornata, solitamente in piacevole compagnia. Il negozio anonimo di oggi non avrà, quindi, in futuro, alcuna rilevanza a meno che non si tratti di vendita di prodotti locali, gastronomici, culturali, artigianali. Prodotti, come la nostra pasticceria, ad esempio, e quelli della nostra campagna e della nostra norcineria. Ma anche i tanti reperti, gadget, documenti e libri su San Valentino e su Virgilio Alterocca, orribilmente trascurati fino ad oggi, che la vendita on line potrà solo supportare, ma mai annullare.
E su tutto quanto sapremo fare, città dei giovani e della scienza e Musei compresi, per riedificare Terni.
Gli italiani costituiscono, da sempre, un popolo di navigatori. Oggi navigano molto su internet e già due anni fa il numero degli eShopper (chi cioè fa acquisti su internet) era pari a circa 19 milioni, un terzo di tutta la popolazione. Penso che Terni non possa divergere molto dai risultati nazionali. Si potrebbe allora desumere che anche per Terni alcuni prodotti non apparterranno più al mercato cittadino, ma solo a quello globale, mercato nel quale più ci si specializza, più si vive a lungo. Viaggi e turismo, elettronica, servizi assicurativi, abbigliamento e accessori sono i settori più richiesti in rete. Quale sarà dunque il destino dei tanti locali ora ammuffiti? Diventeranno magazzini delle aziende mondiali distributrici online o ripostigli tipo cantine … o luoghi aperti di incontro, biblioteche settoriali, locali per esposizioni di prodotti tipici territoriali, musei, bar, ristoranti, agenzie di assistenza turistica? Turismo, certo, ma occorre capire davvero come far ridiventare la nostra Terni pari ai tanti altri borghi della Valnerina che, grazie ai loro sindaci, cominciano ad avere un flusso di visitatori non indifferente. Di nuovo il punto dolente: o cerchiamo inseme di andare incontro al futuro, o umiliamo definitivamente la città, magari soffocandola con altro cemento o asfalto.
Certo, se pensiamo di alimentare turismo ancora con canzonette o con sciocchezze, anche ruotanti, avulse da ogni contesto… peiora tempora parantur.
Per i nuovi negozi saranno richiesti anche degli esperti nella tecnologia digitale perché si chiederà di offrire prodotti portando a conoscenza del loro alone mondiale di storia, relazioni e rapporti. Sarà altresì importante il design di quanto si vorrà vendere ed anche l’attività atta a stimolare la visibilità e l’identità di una marca (brand identity). Vien da pensare che, mentre ieri si vendeva quello che si produceva, adesso occorrerà sintonizzarsi su fatti culturali ed anche di marketing: si produrrà allora soltanto quello che si saprà vendere! Dunque: il negozio che sopravviverà sarà bello ed elegante, dovrà saper trasmettere il piacere di provare il prodotto, avrà un personale preparato, capace di coinvolgere il consumatore o di condividere le sue passioni. In più il commerciante dovrà anche imparare a vendere tramite il web, avere un bel sito e saper usare i social. Il negozio diventerà allora il salotto dove scambiare due chiacchiere, dove socializzare.
I negozietti che vendono robetta alla rinfusa, da mercato o da fiera, non ci saranno più, né dovranno più esserci tutti questi scadenti ammassi di merce varia, collanine, spille, braccialetti di plastica che rendono ancor più deprimente una città con il nostro passato e la nostra cultura, riducendola ad una sorta di nuova suburra (sub urbis)! Prepariamo allora la città al futuro e non archiviamoci in un passato che è solo nei fantasmi e nelle pieghe mentali dei tutto va bene, madama la Marchesa!
Giampiero Raspetti