I NEPALESI IN QATAR

Dopo aver lavorato come operaio in Malaysia, Binod Ghorsaine ha scelto di tornare in Nepal, vuole crescere i suoi figli e non vuole che la gente parli male di sua moglie, nel suo paese è forte il pregiudizio verso le coniugi dei migranti economici, considerate infedeli e ingrate, e verso i loro figli, additati come ragazzi sbandati.

Durante la guerra civile nepalese (1996-2006) i giovani che partivano per l’estero erano circa 200 al giorno, mentre oggi, a causa della crisi economica e dei recenti eventi sismici, sono 3.000 al giorno.
Il PIL del Nepal si regge in gran parte sugli introiti di questi migranti, per un giovane andare a lavorare all’estero è una prova di virilità, chi non affronta il viaggio è un “mard”, è poco mascolino, è un vigliacco, anche perché chi parte non sa se tornerà a casa sano e salvo. Da quando i nepalesi si recano nei paesi del Golfo Persico, il numero dei morti sul lavoro è cresciuto in maniera esponenziale; nel solo Qatar, nel 2021/2022, sono deceduti “per cause naturali” 1.395 nepalesi impiegati nella costruzione di strutture ricettive e sportive; tra loro anche trecento donne assunte come colf. Le cause reali sono dovute alla scarsa sicurezza sul lavoro e al fatto che si è costretti a lavorare anche nelle ore in cui le temperature in Qatar diventano proibitive. Nel caso delle colf la questione è ancora più complicata da documentare, secondo Amnesty International la principale causa è la privazione delle ore di sonno.

Quando l’azienda dichiara di non essere responsabile del decesso, la famiglia del lavoratore
non percepisce nessun indennizzo. Prima che il governo nepalese introducesse i sussidi per le vedove dei migranti economici, gli indennizzi versati dalle aziende di reclutamento bastavano appena a pagare il rientro della salma e il funerale, a volte neanche quello, come nel caso di Rampary, morto dopo appena dieci mesi di lavoro in Qatar, la cui salma è stata rimpatriata, ma è rimasta a valle perché non c’erano i soldi per trasportarla per le strade impervie che conducono al suo villaggio; alla giovane vedova sono spettati 675 dollari dall’azienda e 135 dollari dall’agenzia di reclutamento.

Binod aiuta i migranti e le loro famiglie ad accedere ai servizi del Migrant Resource Centre (MRC), un centro finanziato dalla Direzione dello Sviluppo e della Cooperazione svizzera (DSC) e dal Governo del Nepal.

A causa del crescente numero delle vedove, la tradizionale società nepalese sta cambiando e il caso di Sunali è esemplare: da ragazzina data in sposa, si è ritrovata vedova dopo pochi mesi, il ragazzo forte e robusto che ha sposato è deceduto in Qatar per “cause naturali”; grazie al progetto MRC, Sunali ha ottenuto un buon indennizzo e Binod l’ha aiutata a iscriversi a un corso di alfabetizzazione finanziaria, così potrà investire i soldi, rifarsi una vita e crescere il figlio che porta in grembo, perché, nel bene o nel male, il futuro delle nuove generazioni nepalesi è nelle mani delle donne.

Francesco Patrizi