I Big Data non sono altro che grandissime quantità di dati
I Big Data non sono altro che grandissime quantità di dati, generati sia da parte dei provider, ovvero i fornitori di servizi Internet, sia da parte delle persone, il cui volume, proprio grazie all’evoluzione di Internet, è centuplicato nell’arco degli ultimi due anni.
Vengono comunemente misurati nell’ordine di grandezza dei Petabyte e dei Zettabyte. Per dare un’idea della dimensione, se i Megabyte a cui siamo abituati vengono identificati con 106, i Petabyte lo sono con 1015 mentre i Zettabyte con 1021. Spesso l’espressione Big Data viene utilizzata più genericamente per evocare l’utilizzo della tecnologia che di fatto serve a gestirli. Le imprese, infatti, stanno accentuando l’impegno per estrarre valore e conoscenza dalla mole di dati che hanno raccolto con strumenti vari, registrando il comportamento di clienti e consumatori.
Negli ultimi anni, sono state sviluppate nuove tecnologie proprio per affrontare i problemi legati alla complessità dei dati su cui lavorare, oltre che al loro volume. Per quanto riguarda la complessità, questa risiede in tre aspetti fondamentali dei dati: la varietà (non più solo testo, ma anche immagini, etc.), la veridicità (nel momento in cui i dati vengono forniti dalle diverse fonti non possiamo più controllarne la provenienza e l’attendibilità) e, infine, la velocità, cioè la necessità di rispondere velocemente facendo scelte strategiche basate sulla loro elaborazione.
Grazie all’utilizzo dei Big Data un’impresa può decidere, in tempi brevissimi, di modificare la propria produzione, capire in quali mercati possa poi investire. Tutte queste informazioni possono pervenire all’azienda non più solo dai dati che è già abituata ad elaborare per le più “tradizionali” politiche di marketing, ma, e soprattutto, dall’integrazione di tali dati interni con quelli esterni che vengono forniti in formato diverso e con grande velocità.
L’Osservatorio Big data analytics & business intelligence realizzato dal Politecnico di Milano evidenzia come i Big Data sono stati principalmente impiegati dalle aziende italiane per migliorare il rapporto con il cliente (70%), aumentare le vendite (68%), tagliare il time to market (66%), ampliare l’offerta di nuovi prodotti e servizi e ottimizzare quella attuale per aumentare i margini (entrambi al 64%), ridurre i costi (57%) e cercare nuovi mercati (41%).
E cosa ne è venuto fuori? In generale, le imprese testimoniano nella quasi totalità dei casi il maggior coinvolgimento/fidelizzazione del cliente, a cui seguono l’aumento delle vendite (91% dei casi), il calo del time to market (78%), la creazione di nuovi prodotti e servizi (67%), l’aumento dei margini raggiunto con l’ottimizzazione dell’offerta (73%) e il taglio dei costi (56%).
Rispetto al passato sono stati fatti importanti progressi nel formare e reclutare data scientist, ovvero qui professionisti in grado di ricavare informazioni strategiche da enormi quantità di dati allo scopo di aiutare a definire o soddisfare esigenze e obiettivi aziendali. In realtà sono diversi i profili professionali che le aziende hanno già iniziato a richiedere con decisione.
Tra queste, oltre ai Big Data Analytics Specialist (30%), troviamo Data Scientist (20%), Data Content & Communication Specialist (17%), Big Data Architect (16%) e Social Mining Specialist (12%). La Big Data Integration, dunque, è la grande sfida che, piaccia o meno, le imprese hanno davanti. Quelle italiane sono pronte? Solo una su cinque li conosce e li utilizza.
Va detto, ogni potenziale consumatore entra più o meno consapevolmente con le proprie scelte, i propri gusti, le proprie interviste, in questi enormi contenitori di dati che servono ad orientare le imprese nel promuovere i loro prodotti e produrre con successo. Siamo dei partecipanti più o meno attivi, ma i veri protagonisti sono gli oggetti che usiamo: smartphone, computer, televisioni, caldaie, irrigatori informatizzati, etc., qualsiasi cosa che crei impulsi e sia collegato alla rete, dando origine all’enorme bacino dei Big Data. Quest’ultimi sono un ottimo esempio a dimostrazione che il futuro non è sempre lontano, molto spesso è già presente.
Alessia Melasecche
alessia.melasecche@libero.it