GLI ARABI E I CANDITI

Quando Federico Barbarossa valicò le Alpi, Papa Adriano IV convocò d’urgenza tutte le forze della penisola, l’imperatore non era molto aperto al dialogo, aveva saccheggiato Spoleto dopo un colloquio non andato a buon fine e minacciava di scendere nel Meridione.

Il Papa dovette allertare anche gli odiati Altavilla, i cavalieri Normanni che dominavano la Sicilia, i quali chiesero al re di Francia di inviare un diplomatico per studiare le mosse del nemico. Non ci è pervenuto il suo vero nome, lo conosciamo come Ugo Falcando e spesso lo troviamo citato quando si parla della cucina siciliana, perché questo reporter del XI secolo, dopo aver fatto il suo lavoro, andò a trovare gli Altavilla a Palermo e fece un gustoso resoconto dello stile di vita dei siciliani; in un passo raccontò che si curavano mangiando la buccia dei lumias (limoni) e delle arangias (arance) che rendevano dolce seguendo una ricetta araba: è la prima testimonianza scritta dei canditi.

Quando gli arabi, secoli prima, si erano insediati in Sicilia, avevano importato la coltivazione della barbabietola e l’uso dello zucchero come dolcificante per accompagnare le medicine: immergevano pezzi di frutta e di cedro nella lisciva, una soluzione di acqua bollente e cenere che si usava anche per lavare i panni, e poi li passavano varie volte nello zucchero fino a quando il frutto non era completamente disidratato. Non ci è dato sapere se questa cura avesse poi buon esito, ma per lo meno, come raccomandava il medico arabo Meuse il Vecchio, alleviava le pene al povero malato fiaccato dai dolori.

Nel XVI secolo i mercanti arabi portarono a Venezia frutta e petali di rosa canditi dicendo che il sultano li usava per addobbare la tavola e che non potevano mancare nelle case delle famiglie più in vista. La moda araba conquistò subito la Serenissima, ma lo zucchero costava tantissimo, per cui i canditi vennero impiegati come gemme preziose da sfoggiare a Pasqua e a Natale, quando i banchetti dovevano essere più sontuosi e abbagliare gli ospiti; questa usanza è arrivata fino a noi.

Nel XVII secolo, quando la coltivazione della barbabietola si diffuse in tutta Italia, lo zucchero divenne più accessibile ed entrò nelle cucine di tutti gli italiani come ingrediente per i dolci; prima si erano sempre usato il miele, lo zucchero era impiegato come conservante, gli antichi romani lo andavano a comperare in Persia e lo usavano per conservare il pesce che portavano in battaglia i legionari (non sarà stata una prelibatezza, ma era un modo per non farlo marcire).

Oggi sono pochi i pasticceri che seguono il metodo tradizionale, che non prevede più la liscivia, ma comunque una grande quantità di zucchero. I canditi che si trovano sugli scaffali dei supermercati sono per lo più trattati con un processo chimico che abbatte i tempi di essiccazione e impiega il glucosio, che gli dà una consistenza gommosa, si riconoscono perché sono colorati artificialmente e hanno un sapore che, ne siamo certi, non avrebbe mai colpito le papille di Ugo Falcando.

Francesco Patrizi