LO SPORT PASSA PER GLI ORATORI E LE PERIFERIE
La passione per lo sport, quella senza confini e interessi, compie straordinari miracoli quando si affida a persone speciali, gli “angeli del pallone”. Sono ovunque, sparsi in ogni angolo d’Italia, umili protagonisti di tante piccole storie popolari. Si trovano frequentemente tra le periferie estreme o nei difficili quartieri di città sempre più anonime e spente.
Si riconoscono nei volti dei volontari impegnati sui campi di gioco, tra gli animatori sportivi, nel sorriso dei tanti sacerdoti che spalancano gli oratori. Sono persone semplici, animate da amore vero per il calcio e lo sport in generale. Eroi silenziosi al servizio della passione, prestano il proprio lavoro nell’ombra: spengono le luci, raccolgono i palloni, compilano i cartellini, accompagnano i ragazzi, puliscono gli spogliatoi quando gli altri vanno via. Grazie a loro è possibile raggiungere traguardi talvolta incredibili ed inaspettati.
Poche le ambizioni di voler crescere dei campioni, molto forte invece, una idea di sport ricca di impegno e voglia di fare, per regalare il diritto alla gioia ed al divertimento a tanti ragazzi. Siamo lontani dalle luci della ribalta, dal professionismo esasperato, da una visione mercenaria dove gli aspetti economici prevalgono su di ogni altro valore. Lo sport di “frontiera” quello praticato con pochi mezzi e basato sul volontariato è stato, ed è ancora oggi, un anello fondamentale per lo sviluppo e la crescita del movimento italiano.
In una società complicata, come quella odierna, sentito il bisogno di valorizzare sani punti di aggregazione sociale, esaltando il protagonismo di luoghi ed esperienze con spiccata coscienza identitaria. Attraverso lo sport, o meglio, intorno ad esso, la comune volontà di crescere buoni atleti, educando i cittadini e le cittadine del domani. I vecchi contrasti, tra associazionismo cattolico e quello di stampo laico-liberale, sono ormai superati dalla storia. Il fine comune è quello di concepire e vivere lo sport ispirandosi ad un forte messaggio di comunità.
I social sebbene abbiano accorciato le distanze, procurano una certa solitudine, preda a volte di malesseri nascosti. Una sana pratica sportiva è la risposta concreta al bisogno di relazioni, crea una consapevolezza migliore dei propri talenti e limiti. C’è un disperato bisogno di società sportive che siano veri e propri «laboratori sociali», centri propulsori di rapporti, di collaborazioni, di progetti comuni finalizzati all’obiettivo educativo. Non si può correre da soli, c’è bisogno di lavorare in rete, con attenzione reciproca e sguardo benevolo verso gli altri.
Banalmente si pensa che sia sufficiente educare la persona nelle sue distinte ed autonome dimensioni di vita: familiare, scolastica, fisica e spirituale. Questo oggi non basta, non si può educare a compartimenti stagni. Con il nuovo millennio vanno a formarsi nuove forme associative sportive, più moderne ed adatte ai giovani, che si completano con altre attività: turistiche, teatrali, culturali e sociali. Un modello di associazionismo che nasce dal basso, favorito dalla proposta aggregativa dello sport.
Occorre un rinnovato patto sociale, una stagione di responsabilità, fornire attraverso strumenti idonei risposte e soluzioni ad una società in profonda e veloce accelerazione sociale. Lo Stato, le Istituzioni debbono fare di più e meglio, non lasciando sole le società sportive costrette all’osservanza di asfissianti vincoli e lacci normativi che ne condizionano e limitano l’operato, fino al definitivo abbandono.
L’associazionismo sportivo è un patrimonio valoriale inestimabile, la cui portata incide pesantemente sulla tenuta sociale del Paese. Ed il pensiero vola all’Oratorio Salesiano di San Francesco a Terni, a quanti lo hanno animato, alle storie che si sono incrociate, ai tanti palloni giocati. Ma questa è un’altra storia…
Stefano Lupi