Il 1^ Giugno è stata effettuata la prima gita delle sei preannunciate dalla Ass. Culturale La Pagina: programma intenso, ma grande successo di partecipazione.
Di questa gita (Casteldilago, Ceselli, Ferentillo, Scheggino) voglio riportare le impressioni, anzi le emozioni.
Innanzi tutto il Nera, protagonista assoluto del paesaggio: Il “Nar” che è stato definito il “solforoso” da Virgilio nell’Eneide e da Ennio negli Annales, ma che verosimilmente riconduce alla radice preindoeuropea nar che significa semplicemente fiume, dunque il fiume per antonomasia. Vengono in mente anche le Nereidi (Nereides viene da naro, scorrere). Sono cioè le divinità del mare figlie di Nereo (νηρὸς-neros, “acqua”).
Il Nera dunque, con le sue acque limpidissime, a volte impetuose, spesso calme e trasparenti, scorre ai piedi dei borghi nella valle che da esso prende il nome: la Valnerina. Molti altri sono i toponimi riferiti al fiume: Terni si chiamava Interamna Nahar in onore appunto dei popoli del fiume, i Naharki; quindi Santa Anatolia di Narco, Vallo di Nera, la Val di Narco, Narnia.
Poi il verde: boschi a perdita d’occhio, natura lussureggiante negli alti monti e nelle valli profonde. E tra il verde le ripide pareti rocciose, spesso ardite, come ardite sono le torri e le mura, a volte imponenti, che tuttora scendono dai crinali dei monti, memoria storica di centri fortificati sorti a guardia delle vie di comunicazione e della stretta valle fluviale, racconti di lotte tra guelfi e ghibellini o di signori in cerca della supremazia sul territorio o della sua indipendenza. Abbiamo percorso questi borghi antichi, oggi in gran parte ristrutturati dopo le offese dei terremoti passati. Si respira la storia nell’addentrarsi in questo incrocio di stradine acciottolate. Le scalinate si incuneano tra graziose case in pietra calcarea costruite a digradare dal crinale del monte, passano sotto gli archi e i sottopassi e si aprono in piccole piazzette sempre adorne di fiori. Resti di mura, porte e monconi di torri si interpongono tra le case e la roccia viva. E addossate alla roccia sono spesso le chiese, per lo più costruite nella parte alta del paese, ai piedi dei resti dell’antica rocca le cui vestigia parlano ancora della gloria passata.
E nelle chiese gli affreschi: un mondo da scoprire. Raccontano di santi, di miracoli, di eventi. Ci hanno stupito tutti: l’originalità della rappresentazione della collegiata di Santa Maria a Ferentillo dove nell’arcone delle nicchie i riquadri raccontano episodi della vita del Santo rappresentato in ciascuna di esse; l’abside affrescata dallo Spagna e aiuti della chiesa di San Nicola a Scheggino; il grande arco trionfale della chiesa di San Valentino a Casteldilago con la sua bella Annunciazione ed altri notevoli dipinti. Sì, proprio san Valentino, lo stesso Valentino di Terni a cui sono dedicate ben due edifici religiosi sorti per segnare un confine di pertinenza con Spoleto che sempre aveva dominato su questo territorio.
Poi i musei. A cominciare dal Museo della Ceramica di Casteldilago che mette in mostra tutti gli oggetti rinvenuti all’interno di un butto (alcuni curiosi come giocattoli campanellini, fibbie e bottoni), per lo più maioliche di ottima fattura puliti e catalogati dallo studioso inglese Timothy Clifford cui il museo è dedicato.
Che dire del Museo del Tartufo a Scheggino che racconta, attraverso una ricca e varia documentazione, la storia della famiglia Urbani, pioniera nella valorizzazione di questo prodotto, protagonista eccellente della tavola? Non abbiamo potuto fare a meno di gustare con gli occhi e sentire il profumo dei tanti prodotti esposti, ma soprattutto di apprezzare il percorso storico che spiega le esperienze relative alla raccolta, alla conservazione, alla trasformazione di quello che viene definito, a ragione, il “diamante nero” della Valnerina.
Penso di interpretare il pensiero di molti ricordando l’incontro emozionante con due raccolte che raccontano la nostra storia quotidiana: il Museo etnografico della civiltà preindustriale Casarivoso e Una finestra sul ‘900. La prima realizzata dal compianto Silvano Silvani che, con la sua passione incredibile, in un vecchio mulino ha rimesso insieme tutti gli attrezzi e i meccanismi relativi alla molitura delle olive, oltre a tutta una serie notevole di strumenti di lavoro della civiltà contadina. La seconda è una collezione privata di Vladimiro Orsi nata anch’essa da una grande passione per le testimonianze della vita quotidiana del ‘900. Oggetti ordinati per genere: dalle penne alle caffettiere, dagli accessori per la caccia ai piatti, dai giocattoli alle tante curiosità di strumenti utili alla vita di ogni giorno. In più una eccellente collezione di libri e stampe antiche.
Ricordi del passato, reperti dell’800 e 900: sono sfilati davanti ai nostri occhi i giorni dell’infanzia, i gesti dei nostri nonni, gli usi e costumi di un tempo. Non c’è stata nostalgia: le comodità e i progressi della vita moderna non fanno rimpiangere quegli oggetti, quegli strumenti; ma la suggestione del tuffo indietro, nella tradizione, ha preso il cuore di tutti.
La Valnerina è terra di tradizioni: il parziale isolamento di questo territorio dal resto della regione ha creato una sorta di cortina difensiva, non dissimile dalle mura dei castelli che circondano i borghi, ed ha permesso la sopravvivenza di storie, di abitudini, di miti, che fanno parte integrante dell’identità di questa terra. Non è un caso che qui sono nati e operano con successo i Cantori della Valnerina e la Confraternita dei campanari, che perseguono con passione e costanza l’obiettivo di non far dimenticare il grande patrimonio di canti, di suoni, di usanze.
Nella visita in questi paesi non dissimili dagli altri della Valnerina, abbiamo riconosciuto nella sua interezza quella che è la chiave di lettura di tutto il territorio: tradizione, spiritualità, natura.
Ne abbiamo fatto tesoro e desideriamo che la nostra esperienza, unica e indelebile, sia di stimolo agli altri per andare a conoscere queste perle e vivere le stesse emozioni.
Loretta Santini