La storia di un territorio consiste in una interminabile catena di eventi, legati l’uno all’altro, che si susseguono nel corso del tempo. Quando questa storia riguarda le fasi più antiche dell’evoluzione territoriale, ciò su cui ci si può basare, in un’eventuale opera di ricostruzione, sono soltanto alcuni dettagli, testimoni dei principali fenomeni avvenuti, che si conservano impressi nel contesto ambientale di oggi. Come antichi relitti di un tempo passato, questi dettagli, sotto forma di un deposito sedimentario, o di una particolare conformazione geomorfologica, o anche di testimonianze fossilizzate, costituiscono il risultato parziale del verificarsi di eventi naturali che hanno lasciato traccia di sé. Un fatto incontrovertibile è che, al di là di ogni ragionevole dubbio, essi sono la prova tangibile che il mondo intorno a noi si evolve costantemente.
Queste testimonianze rimangono impresse sul territorio per un tempo finito, prima di essere completamente cancellate dalla sovrapposizione di eventi successivi, cioè da quella che di solito viene definita la dinamica ambientale. La loro rintracciabilità si basa su una complessa attività di ricerca scientifica che, generalmente, coinvolge diversi rami della scienza contemporaneamente; una metodologia, questa, attraverso la quale si opera, con gradualità, ad imbastire una linea logica e consequenziale degli eventi che nel tempo hanno caratterizzato questo o quel territorio.
Ecco quali sono i motivi che rendono la ricostruzione dell’antica storia di un territorio una faccenda che si prolunga nel tempo protraendosi per decenni. Non c’è altro modo. Tant’è che, man mano che progredisce l’attività di ricerca scientifica, questa storia si arricchisce sempre di più di nuovi dettagli e di nuove visioni che vanno a definire un quadro generale degli avvenimenti passati sempre più nitido. Ad onor del vero, più che un quadro, la lunga e complessa storia di un territorio è assimilabile ad un vero e proprio film. Il più lungo e durevole lungometraggio che si possa mai realizzare! I nuovi dati che emergono e si aggiungono, a volte possono risultare talmente significativi da gettare le basi per una visione del tutto innovativa nel suo complesso, fino al punto di rendere evidenti anche aspetti di cui prima non si aveva avuto modo di sospettare l’esistenza.
Una situazione di questo tipo si è verificata di recente per quanto riguarda il nostro territorio, l’Umbria meridionale. In particolare, in merito agli aspetti che attengono all’evoluzione dei principali corsi d’acqua che, ancora oggi, caratterizzano quel tratto della Valnerina compreso fra la stretta di Ferentillo e la conca di Terni. In questa porzione di territorio è compresa anche quella grandiosa e magnifica espressione della natura che è la Cascata delle Marmore la quale ha visto, in una fase recente della storia ambientale, anche l’intervento della mano dell’uomo. Un intervento importante che prende avvio con la pionieristica opera di ingegneria idraulica condotta dai Romani.
Venendo al dunque, un’approfondita analisi delle evidenze sedimentarie affioranti su questo territorio, in particolare lasciate dal Fiume Nera, hanno consentito di ripercorrere l’evoluzione del tracciato di questo corso d’acqua e di rilevare i suoi stretti rapporti con il Fiume Velino il quale, già a partire da circa 600.000 anni fa, sfrutterà un passaggio aperto fra le montagne nell’area de Le Marmore dove imposterà una prima caduta d’acqua in forma di rapide. Poi il medesimo fiume, a distanza di qualche centinaio di migliaio di anni, si troverà direttamente coinvolto nella formazione di una straordinaria cascata.
Dal canto suo il Fiume Nera è stato artefice, nel corso del tempo, di un’autentica danza territoriale attraverso la quale ha modificato profondamente il suo corso, cambiando radicalmente la posizione del suo alveo almeno quattro volte negli ultimi 3 milioni di anni. Questi profondi mutamenti negli assetti ambientali furono indotti dall’evoluzione della catena appenninica che ha determinato, ogni volta, la cattura e la deviazione del fiume da parte delle faglie attive, responsabili della dislocazione delle masse rocciose nelle continue fasi di modellamento dei rilievi montuosi e delle depressioni vallive associate. Insomma una storia complessa ed affascinante allo stesso tempo che ci consente di conoscere più da vicino la nostra terra.
In effetti, le nuove evidenze scaturite da questo recente studio sono da ritenersi un elemento ulteriore che si aggiunge nella lunga opera di ricostruzione degli avvenimenti che hanno plasmato il territorio in cui oggi viviamo. Fenomeni che seguono le medesime leggi naturali che plasmeranno anche il mondo di domani. È per questo che tali tipi di conoscenza del territorio, insieme ad altri, sono da considerarsi strategici per comprendere in quali condizioni ambientali le nuove generazioni si troveranno a vivere.
Enrico Squazzini
Centro Ricerche Paleoambientali di Arrone