Luglio 2023 è stato il mese più caldo della storia, da quando si misurano le temperature. Come non chiedersi quali possono essere le cause e i rischi di questa evidente anomalia? Quando, sempre a Luglio, la Presidente del Consiglio Meloni è stata ricevuta dal Presidente degli USA, Biden, è stata accolta con parole di solidarietà per le alluvioni e gli incendi patiti dal nostro paese; insomma per gli eventi estremi dovuti -ha sottolineato il Presidente americano- al mutamento climatico, definito un rischio esistenziale per l’Umanità. Una valutazione ed un giudizio netti ed inequivocabili che si accompagnano a simili dichiarazioni allarmate del Presidente delle Repubblica Mattarella, del Segretario generale dell’ONU Guterres e di Papa Francesco, oltre alle indicazioni del 97% degli scienziati climatici del mondo. Il coro unanime ed autorevolissimo di tali prese di posizione, volto ad arginare, finché si è in tempo, l’onda travolgente del cambiamento climatico, va sottolineato proprio perché persistono, nel nostro paese, ambienti politici ed economici dove prevale in negazionismo o la sottovalutazione della emergenza epocale del clima che cambia. Si sente dire, anche da chi ha grandi responsabilità pubbliche, che in estate fa sempre caldo, o che si tratta di eventi meteorici imprevedibili, come è sempre accaduto. Si tende a negare, in sostanza, il rapporto di causa-effetto, tra emissioni di CO2, dovute al modello industriale e consumistico che governa il mondo da almeno 150 anni, l’effetto serra conseguente e gli sconvolgimenti dell’equilibrio climatico, causato, non più da eventi naturali, ma, dall’uomo. Che vi siano resistenze e incomprensioni rispetto ad un mutamento così radicale ed inedito nella storia umana è comprensibile, anche per la disinformazione diffusa da potenti interessi mondiali legati alle fonti fossili; il problema è che la velocità e l’intensità del cambiamento stanno aumentando a tal punto che non c’è altro tempo da perdere; non si può ritardare oltre l’avvio di una reale e profonda transizione ecologica dell’economia, a partire da quella energetica. Si temono contraccolpi sul sistema produttivo, sull’occupazione ed i consumi di massa, come conseguenza delle misure volte alla sostenibilità. Certo che un impatto potrà esserci su determinate attività, imprese e posizioni di lavoro; tuttavia la massa degli investimenti pubblici e privati che dovrà sostenere la transizione è di tale dimensione e portata innovativa da far ritenere, realisticamente, che la transizione costituirà una opportunità unica e straordinaria di nuovo sviluppo sostenibile, di benessere sociale, di nuove imprese, di lavoro qualificato e di pace. Già oggi, le imprese che operano secondo i principi della neutralità climatica e del rispetto dell’ambiente sono quelle che ottengono i risultati migliori. Si tratta, perciò, di estendere a tutta l’attività economica il modello della sostenibilità, incentivando e sostenendo, anche fiscalmente, il cambiamento necessario. Per riuscirvi è necessario che la transizione sia “popolare”, cioè socialmente giusta; con più aiuto a chi ha di meno. Uno degli strumenti pubblici più rilevanti è oggi costituito dal PNRR italiano, finanziato da risorse europee. Si tratta per il nostro paese di una disponibilità straordinaria di risorse, 220 miliardi, sia a debito a basso costo, sia a fondo perduto con cui rilanciare l’economia italiana e modernizzare il paese nel segno della sostenibilità. Da qui, la necessità assoluta che non un solo euro di questo ammontare vada perduto o mal usato. Dei fondi complessivi del PNRR, circa 36 miliardi erano destinati agli investimenti per l’ambiente la transizione ecologica e lo sviluppo sostenibile. Probabilmente troppo pochi rispetto all’importanza primaria del contrasto alla crisi climatica che chiede un forte sostegno pubblico alla nuova economia verde e sostenibile. Perciò è cruciale un uso totale ed ottimale di quell’ammontare di risorse. Preoccupano, da questo punto di vista, le decisioni dell’esecutivo che ne riducono i progetti e l’importo complessivo, per 14 miliardi, tagliando i fondi per la prevenzione del dissesto idrogeologico, drammaticamente necessario alla luce delle ultime devastanti alluvioni e frane, la siccità, i fondi per la rigenerazione urbana ed anche il fondo per l’impiego dell’idrogeno nei settori altamente emissivi di gas serra, tra i quali la siderurgia. Terni, con la sua Acciaieria che rilascia in atmosfera 300.000 tonnellate anno di anidride carbonica, deve utilizzare anche l’idrogeno, su vasta scala, per rendere climaticamente meno impattante la sua produzione di acciaio speciale; fabbrica e città debbono essere fra i protagonisti, tramite l’Accordo di programma da tanto tempo atteso, di un grande progetto nazionale ed europeo di decarbonizzazione dei processi energetici ed industriali e delle stesse attività civili, nel territorio. Massima dovrà essere, su questo punto, l’attenzione e l’iniziativa delle Istituzioni locali e di tutte le forze vive e responsabili della nostra città, a partire dell’informazione.
Giacomo Porrazzini