Siamo stati investiti dal caldo africano, rovente, asfissiante con oltre 40° di giorno e più di 30° di notte. Finora sono sette ondate, così ci dicono i meteorologi, ci ripetono i telegiornali e, soprattutto, abbiamo vissuto sulla nostra pelle. Inoltre non piove da sette mesi. Dunque siccità; dunque agricoltura in ginocchio.
Estate rovente anche per gli incendi: anzi un annus horribilis, una piaga ogni anno rinnovata, certo favorita dalle condizioni climatiche come il caldo secco, la mancanza di piogge e il vento. A volte accidentale o dovuta a distrazione, ma più spesso intenzionale, dolosa, scaturita dalla pazzia dell’uomo o dagli interessi di qualcuno. A questo proposito si è parlato di stagionali nel campo dei forestali, della volontà di contadini di trovare nuove aree per il pascolo o l’agricoltura, di speculazione edilizia e, non ultima, l’onnipresente mafia. A questa estate rovente si associano tutte le considerazioni possibili sul clima: si dice “il clima è cambiato”, “il clima si è tropicalizzato”, i ghiacciai si stanno sciogliendo”, “la temperatura globale si è alzata di 2°”, “effetto serra”.
Riviste scientifiche ed esperti del settore affermano che “l’influenza dell’uomo sui cambiamenti climatici è indiscutibile” ricordando come l’inquinamento dovuto alla combustione di carbone, gas e petrolio, industrie alimentari, ne sia la causa principale. Da anni molti stati del mondo cercano di trovare rimedi a questa situazione che rischia di divenire tragica. Ricordo solo la conferenza sul clima di Parigi del 2015 che ha prodotto un accordo firmato il 22 aprile del 2016 nella sede Onu di New York dai capi di Stato e di governo di 195 paesi (ultimamente Trump si è defilato) che hanno adottato un piano d’azione globale, per limitare il riscaldamento globale al di sotto dei 2ºC. Il futuro della terra dipende dalla volontà dell’uomo e, soprattutto, da chi ci governa. Non vorrei essere catastrofica, ma mi chiedo, siamo ancora in tempo?
Estate rovente. Siamo stati investiti dagli immigrati africani: una questione altrettanto bollente. Per questo problema userò parole ormai divenute tragici ritornelli: gommoni, sbarchi, morti, clandestini, extracomunitari, profughi, rifugiati, espulsi, trafficanti, fuga, fame, paura, povertà, accoglienza, integrazione, asilo, tolleranza/intolleranza, cittadinanza, ius soli, ius sanguinis, ius culturae, ong, … Ricordo, per dovere di cronaca, che l’Italia è tra gli stati europei che in quest’ultimo decennio ha visto il più alto numero di sbarchi di immigrati. Ho pensato che nel clima arroventato delle polemiche che ogni giorno dilaniano l’Italia e anche l’Europa, questa preghiera di Erri De Luca, sia il miglior tributo alla sofferenza di questa gente, alla pietà cristiana, alla dignità dell’uomo.
Mare nostro che non sei nei cieli e abbracci i confini
dell’isola e del mondo
sia benedetto il tuo sale e sia benedetto il tuo fondale
accogli le gremite imbarcazioni senza una strada sopra le tue onde
i pescatori usciti nella notte le loro reti
tra le tue creature che tornano al mattino
con la pesca dei naufraghi salvati
Mare nostro che non sei nei cieli
all’alba sei colore del frumento
al tramonto dell’uva di vendemmia
che abbiamo seminato di annegati più di qualunque età delle tempeste
Mare nostro che non sei nei cieli
tu sei più giusto della terra ferma
pure quando sollevi onde a muraglia
poi le riabbassi a tappeto
custodisci le vite, le visite cadute come foglie sul viale
fai da autunno per loro
da carezza, da abbraccio
da bacio in fronte di padre e di madre prima di partire.
Un’estate rovente per i terremotati dei tanti paesi dell’Umbria, della nostra cara Valnerina, del Lazio e delle Marche. Vorrei ricordare la ricostruzione troppo lenta (le pastoie burocratiche spesso fanno danni come il terremoto) se i paesi sono ancora cumuli di macerie. Vorrei rendere omaggio a tanti sindaci coraggiosi, alla protezione civile, ai volontari e a tutti quelli che si sono rimboccati le maniche per riprendere una parvenza di vita e di attività economica che possa dare un senso al loro restare su quei luoghi disastrati, per ritrovare quella identità che apparteneva loro, quel genius loci che ancora li lega alla loro terra. Se può dare una speranza per il futuro, vorrei ricordare come paesi come Sant’Anatolia di Narco, Vallo di Nera, Borgo Cerreto (solo per citarne alcuni) siano risorti a nuova vita dopo il terremoto del 1979 e abbiano ritrovato una riqualificazione urbana, economica e sociale che è stata indicata come esempio di progettualità, di coinvolgimento della popolazione e come valorizzazione di antichi centri storici.
Poiché in questi giorni vi è stato un terremoto a Casamicciola (isola d’Ischia), ricordo quello che sconvolse la cittadina e tutta l’isola nel 1883 facendo oltre 2000 vittime. Riporto la testimonianza di Benedetto Croce, unico sopravvissuto della sua famiglia: “Rinvenni a notte alta, e mi trovai sepolto fino al collo, e sul mio capo scintillavano le stelle, e vedevo intorno il terriccio giallo, e non riuscivo a raccapezzarmi su ciò che era accaduto, e mi pareva di sognare. Compresi dopo un poco, e restai calmo, come accade nelle grandi disgrazie. Chiamai al soccorso per me e per mio padre, di cui ascoltavo la voce poco lontano; malgrado ogni sforzo, non riuscii da me solo a districarmi. Verso la mattina, fui cavato fuori da due soldati e steso su una barella all’aperto…”
Loretta Santini