UNA BELLA STORIA TRA SPORT ED AMORE
Erano nati lo stesso giorno Dana ed Emil, il 19 settembre del 1922. Il destino volle che condividessero non solo la data di nascita e la regione di provenienza (la Moravia, a nord dell’attuale Repubblica Ceca), ma anche i trionfi olimpici. Il 24 luglio del 1952 ad Helsinki, nello spazio di un’ora, vinsero entrambi l’oro: Emil nei 5.000 metri e Dana nel giavellotto. I successi ed i loro baci in quella Olimpiade magica sono nella galleria del tempo accarezzando, ancora oggi, il cuore degli sportivi di tutto il mondo.
Questa è la storia di Emil Zatopek, uno dei grandissimi dell’atletica, forse il migliore fondista di tutti i tempi, e dell’ottima giavellottista Dana Ingrova Zatopkova, sua moglie. Si conobbero subito dopo la Seconda Guerra Mondiale, alle qualificazioni olimpiche per i Giochi di Londra 1948. Emil stacca il pass, Dana è in pedana alle prese con il giavellotto: sarà la prima cecoslovacca a lanciare oltre i 40 metri.
Zatopek andò a congratularsi per il risultato, tra sguardi furtivi e timide parole scoprirono di essere nati nello stesso giorno. Lì probabilmente Cupido scoccò la freccia, unendoli poi per la vita.
Dopo aver vinto le sue medaglie (oro nei 10.000 ed argento nei 5.000), Emil acquistò a Piccadilly due anelli. Tornati a casa si sposarono: “Io e Emil abbiamo vissuto dentro una fiaba” – amava ricordare Dana – “ancora adesso, se penso a quel nostro viaggio a Londra, da innamorati e da atleti, mi sembra di sognare. Quell’esperienza ha segnato tutto il resto della mia vita. Forse non sarebbe stato così meraviglioso se non avesse avuto la cornice dello spirito olimpico, quasi una benedizione laica”. Quattro anni dopo entrarono nella storia mondiale dell’atletica: “Eravamo più innamorati e più forti” amava ricordare Dana. Ad Helsinki ’52 Zatopek vinse l’oro nei 5.000, 10.000 metri e nella maratona. Mentre Emil stava correndo i 5 mila, Dana era negli spogliatoi, aspettando la sua gara. Udendo il boato della folla, mise fuori la testa e vide Emil volare verso il suo secondo oro. Incrociandosi in pista lui le mostrò la medaglia, lei se la mise nella borsa: “Mi porterà fortuna” – gli disse. Al primo lancio Dana spedisce il giavellotto a 50,47 metri, fu la prima cecoslovacca a vincere un oro olimpico nell’atletica. Si abbracciarono e si baciarono. Quella foto in bianco e nero, scattata in un tardo pomeriggio scandinavo, freddo ed infinito, è rimasta nella storia dello sport.
Emil si ritirò nel ’57. Lei gareggiò anche a Roma nel ’60, ottenendo a 37 anni un clamoroso argento olimpico. Negli anni successivi, quando le chiedevano di Emil, lei rispondeva: “Emil era un cuore che correva”. Emil e Dana hanno vissuto da protagonisti il Novecento, passando dall’occupazione nazista alla soffocante dittatura del socialismo reale.
Nel loro percorso non solo lo sport, ma anche un forte impegno civile, tradotto nella coraggiosa difesa della Primavera di Praga nel 1968. Emil, eroe in patria per meriti olimpici, sfidò in piazza i carri armati sovietici, provando a convincere le truppe di invasione a non spegnere la speranza di libertà dei giovani cecoslovacchi. Pagarono duramente quel sogno, furono entrambi confinati con disonore per due anni in montagna. Pensarono di fiaccarlo nel corpo e nell’animo, destinandolo al duro lavoro in una miniera di uranio. Punito per aver aderito al “Manifesto delle duemila parole” in appoggio alle riforme del presidente
cecoslovacco Alexander Dubcek. Finì emarginato, condannato, costretto poi a ritrattare, sotto il peso di verità imposte dal regime. Solo nel 1989, con la rivoluzione morbida guidata dal drammaturgo Vaclav Havel, la Cecoslovacchia chiese loro scusa.
Due campioni veri, due giovani innamorati, con le loro debolezze, paure, entusiasmo e tanta forza. Anche se le loro imprese sono sempre più lontane nel tempo, se persino il loro paese s’è frantumato fra Repubblica Ceca e Slovacchia, i valori sportivi ed umani che ci hanno consegnato rimarranno per sempre.
In quella olimpiade del ’52 incrociarono lo sguardo di un grande atleta ternano, il velocista Volfango Montanari. Ma questa è un’altra storia…
Stefano Lupi