In ogni lingua esistono delle frasi ricorrenti e peculiari, i cosiddetti “modi di dire”
In ogni lingua esistono delle frasi ricorrenti e peculiari, i cosiddetti “modi di dire”, che racchiudono il senso di un’intera situazione che ci troviamo a vivere, di cui conosciamo perfettamente il significato, ma che dal punto di vista delle espressioni in sé, se ci si sofferma a riflettere, non c’entrano nulla con ciò che vogliono esprimere. In effetti, queste traggono le loro origini da abitudini popolari, tradizioni, episodi storici, etc. Le persone hanno cominciato ad utilizzarle e poi, con il tempo, sono diventate parte integrante del linguaggio comune.
Come “essere al verde”, che deriva dalla Firenze del XVI secolo, quando si tenevano le aste di beni preziosi, come il sale. I banditori utilizzavano delle candele con una base verde come segnatempo: quando si bruciavano completamente e si arrivava alla parte verde, l’asta era finita e bisognava pagare quanto ci si era aggiudicati.
Oppure, “piantare in asso”, secondo la mitologia greca Teseo abbandonò Arianna dopo la celebre impresa del filo nel labirinto del Minotauro, lasciandola da sola nell’isola greca di Nasso. La deformazione popolare ha trasformato lasciare “in Nasso” in “in asso”.
O, “avere la coda di paglia”, che deriva da una favola in cui si racconta che una volpe lasciò parte della coda in una tagliola dalla quale si era liberata. Star senza coda per una volpe è cosa umiliante. Gli animali suoi amici crearono per la malcapitata una coda di paglia, ma il segreto fu svelato da un gallo e i contadini accesero un fuoco davanti ai pollai. La paura di bruciare la coda e di mostrarsi senza, tenne lontana la volpe. Morale: aver la coda di paglia è il timore di esporsi per nascondere una colpa o un difetto.
C’è chi poi “se la lega al dito”, modo di dire che si riferisce, invece, a un’antichissima tradizione, secondo cui venivano legate alla mano delle piccole strisce di pergamena, contenenti alcuni precetti religiosi, per assicurarsi di non dimenticarli. Anticamente, inoltre, in Turchia, i cavalieri legavano un filo d’oro al dito dell’amata, come promessa d’amore da non scordare. Col tempo, l’espressione ha perso ogni aspetto romantico e viene usata per indicare la volontà di non dimenticare un torto subìto, attendendo il momento della rivalsa.
Quante volte abbiamo sentito indicare un’idea o una trovata particolarmente brillante come fosse “l’uovo di Colombo”? Sembra derivare dal fatto che in seguito alla scoperta dell’America da parte di Cristoforo Colombo, molti sui detrattori si attivarono per sminuire l’importanza della scoperta. Si racconta che Colombo sfidò un gruppo di contestatori a cimentarsi nel gesto di poggiare un uovo a terra facendolo restare in posizione verticale. Non riuscendovi alcuno, lo fece lui schiacciando leggermente un uovo da un lato.
C’è poi la “questione di lana caprina”. Perché mentre è chiaro a tutti che le pecore sono ricoperte di lana, ciò che ricopre le capre, è pelo o lana? Si tratta chiaramente di un interrogativo fine a se stesso, senza alcuna importanza. Per questo, quando qualcuno sottilizza, cavilla su argomenti futili, si dice che perda tempo intorno a questioni di lana caprina.
Non parliamo poi della “pietra dello scandalo”. Durante l’Impero Romano un commerciante fallito doveva prostrarsi nei confronti dei suoi creditori gridando su una pietra “cedo bona”, ovvero, in italiano, “svendo tutti i miei averi”. Ciò impediva ai creditori ulteriori rivendicazioni. La pietra del gesto di umiliazione prendeva, appunto, il nome di “pietra dello scandalo”.
Infine, mi raccomando, seguite sempre le indicazioni “per filo e per segno”. Un tempo, gli imbianchini usavano far battere sul muro un filo precedentemente intinto in una polvere colorata, in modo che vi ci rimanesse l’impronta. Tale segno indicava la linea da seguire nell’imbiancare. Espressione che continua a essere utilizzata ogniqualvolta si intenda qualcosa che debba essere svolta con ordine, in modo esatto e preciso.
Ad ogni circostanza il suo modo di dire!
Alessia Melasecche
alessia.melasecche@libero.it