È TEMPO DI MASCHERE

È tempo di maschere: di cartone, di plastica, di stoffa, trine e merletti, semplici e sfarzose, maschere per nascondere il viso e permettere a chi le indossa di diventare altro, quel che vuole diventare. È sempre stato un bisogno dell’uomo nascondersi, proteggersi, apparire diverso seguendo gli impulsi dell’immaginazione che di volta in volta frantuma il proprio io e lo ricompone in forme diverse. Sembra un gioco a cui l’uomo si sottopone per scoprire e coprire le proprie fragilità alterando l’identità secondo la convenienza, la necessità del momento, la situazione relazionale che sta vivendo.

Come il bambino crea il suo mondo fantastico dove tutto è vero, tutto è falso ed in esso viaggia alla ricerca di sé stesso, l’adulto coltiva in sé la sensazione fluttuante di essere “uno, nessuno, centomila”. È la teoria cara a Pirandello. Le sue maschere sono un’analisi spietata dell’uomo che vaga alla ricerca della sua identità nel tentativo di accettarsi e farsi accettare.

La società impone leggi e regole e ad esse occorre conformarsi. Dai meandri di una struttura sociale rigida l’uomo spesso evade alla ricerca del senso profondo della vita, alla ricerca di una verità dai contorni frastagliati, dai mille volti tutti possibili come tutti fasulli. Ognuno ha la sua verità, creata dal suo pensiero, dalle sue esperienze di vita, dal ruolo che interpreta, dalla sua capacità di modulare relazioni. Ha anche i suoi “mostri” interiori che Kafka fa emergere in figure inquietanti, surreali, maschere grottesche che si muovono in un universo assurdo da sembrare quasi normale. Kafka affronta così l’alienazione dell’uomo, un’angoscia esistenziale che lo allontana dalla realtà.

Con la maschera l’uomo attua una “metamorfosi” per nascondere la propria essenza, per integrarsi nel tessuto sociale a cui appartiene. Con una maschera sul viso o semplicemente un costume da indossare, ancora oggi, si soddisfa, per le vie, per le piazze, la voglia di trasgredire i canoni conformisti che si è obbligati ad osservare. È un breve periodo, ma sufficiente per consentire comportamenti in altri momenti ritenuti inopportuni.

È Carnevale, un periodo alle soglie della rinascita della natura, quando un tripudio di vitalità esplode ovunque e libera l’uomo dai vincoli inibitori. Le sue origini sono lontane nel tempo e legate a due celebri feste dell’antichità: le Saturnalie romane e le Dionisie greche. Si prevedevano festeggiamenti travolgenti, l’abbattimento dei ruoli sociali e il tutto per un sano bisogno di follia liberatoria. Con il Cristianesimo si intese concedere un periodo di sfrenata allegria prima dell’avvento della Quaresima, periodo di penitenza prima della Pasqua. Maschere da indossare fisicamente, maschere metafore di comportamenti, maschere per nascondersi, per proteggersi, maschere per apparire e farsi applaudire.

È la società dell’immagine che nei social media prorompe, è l’artificio a cui l’individuo si sottopone per mostrarsi secondo una realtà fittizia volutamente creata. Società dell’immagine, non più reale, ma virtuale e la maschera trionfa nel quotidiano, si propone sulle piattaforme come Instagram, Facebook, Tik Tok, YouTube dove è possibile creare una nuova identità, interpretare un ruolo e mostrarsi al mondo con la maschera d’occasione.

E come Pirandello trionfa con le sue “maschere nude” che mostrano fragilità, insicurezza, frammentazione dell’identità, così nelle piattaforme social il corpo viene spesso investito di un valore simbolico che va oltre la mera funzione biologica. Diventa un “feticcio” per costruire un’immagine idealizzata, un oggetto di culto, per affermare il proprio ruolo sociale. Ma ora è febbraio, è tempo di Carnevale, quello vero, innocente e puro, con le sue maschere variopinte e gioiose che non ingannano, ma rivelano finalmente solo quello che effettivamente sono.

Sandra Raspetti