“E quindi uscimmo a riveder le stelle”
È l’ultimo verso dell’Inferno di Dante Alighieri.
Nell’epoca del coronavirus è una speranza, un’aspettativa, un sogno che parte da un dato incontrovertibile: dobbiamo ripartire -siamo appena sulla linea di partenza- con l’idea di ricostruire il territorio, la socialità, il turismo, l’economia e, naturalmente, in primis, risolvere il doloroso problema della povertà e della disuguaglianza sociale che stanno divenendo un’emergenza di grandi dimensioni.
Tutto sembra debba essere ripensato, riorganizzato.
Per realizzare la “ricostruzione”, il sogno deve diventare un progetto e il progetto deve mettere in campo non solo le varie professionalità e competenze, ma anche la creatività e quel pizzico di audacia che è necessaria per fare un salto di qualità e proporre qualcosa di innovativo. Bisogna saper volare alto e cogliere l’opportunità di ripensare il futuro e ricostruire con l’uomo e per l’uomo una rete di socialità, di efficienza, di sostenibilità.
Vorrei fare prima una riflessione.
In questo periodo in cui siamo stati in casa abbiamo conosciuto un nuovo concetto di spazio, anzi di non-spazio, quello virtuale. Lo spazio reale prima era la strada, la città, la campagna, spesso da noi non apprezzate e conosciute se non superficialmente. Naturalmente lo era anche la casa -e questa è stata l’unica cosa rimasta a causa del famigerato lockdown- ma in questi tempi rivissuta in maniera diversa: una casa spesso sentita come una segregazione, come un orizzonte limitato dai muri, ma anche e spesso come uno spazio riscoperto, creativo (molti si sono dedicati alla cucina o alle grandi pulizie o al riordinare libri e oggetti) ed anche rapportato con l’esterno con la riscoperta del balcone, impensabile momento di una nuova socialità.
Il non spazio è quello virtuale (internet e social network), quello che si allarga al vicino di casa, al parente, all’amico, al professore, al datore di lavoro, allo sconosciuto che vive all’altro capo del mondo, tutti interconnessi in una rete strettissima di interazioni. Una dimensione nuova, una comunicazione diffusa che comunque ci ha permesso di vivere una socialità multiforme e surrogata, fatta di parole, di commenti, di rabbia e di sfoghi, di notizie. Internet si è dimostrato in grado di creare nuovi spazi di condivisione, di avvicinarsi in modo diverso al prossimo, al lavoro, alla scuola, alla conoscenza; ha sostanzialmente cambiato la nostra psicologia e il nostro approccio alla vita.
Un cambiamento epocale di cui non possiamo che tenerne conto.
Dobbiamo ricordare però che c’è un altro spazio: lo spazio della mente. Questo è infinito perché è proprio e solo del pensiero il poter superare qualsiasi limite. Questo è il vero spazio, quello rivoluzionario, quello libero e immenso.
È da questo spazio del pensiero che dobbiamo ripartire e ritrovare la nostra capacità di relazionarsi, la nostra creatività, la voglia di fare, le nostre proposte.
Dobbiamo pensare e ripartire dalla Terni delle eccellenze, dai nostri paesi, dalle nostre bellezze, dalla nostra cultura, dall’ambiente, dalla natura, dai parchi. Si deve riscoprire la multiforme identità di un territorio che racconta secoli di storia, momenti diversi che lo rendono unico. Bisogna ripartire dalle campagne coltivate, dai filari di viti e dagli oliveti con quei prodotti che sono la ricchezza di questo territorio. Bisogna di nuovo mettere le mani nella terra per trarre da essa la forza rigenerativa. Dobbiamo ripartire dalle montagne e dalle valli e dalle acque, così impregnate di forze primigenie e antiche, di tradizioni secolari, di una spiritualità diffusa e così intima da permeare di sé la stessa natura. Si deve ritrovare l’essenza di questa terra sacra e industriosa, culla di civiltà, di popoli antichi, ricca di storia e di eventi e imparare di nuovo a leggere i segni lasciati dal tempo per trarre da essi forza e insegnamento. Bisogna ripercorrere con umiltà, curiosità e passione i sentieri che furono dei pellegrini e di quei viaggiatori che tanto l’hanno amata e cantata. Bisogna riscoprire quel “genius loci”, quell’immagine dei luoghi che non è altro che un percorso tra arte, archeologia, natura, tradizioni, eventi, gastronomia e un insieme di saperi che costituiscono il patrimonio culturale e l’essenza di una città e di un territorio. Senza questa conoscenza non si può progettare il futuro e, soprattutto, uscire dalla clausura fisica e mentale di questi ultimi tempi.
Vorrei fare un esempio: questa è l’occasione per ripensare l’offerta turistica e renderla razionale e sostenibile. Il turismo di massa che coinvolge molte città d’Italia è da tempo sofferente per la congestione dei siti, per i disagi della fruizione, per quel mordi e fuggi che ormai caratterizza i luoghi più conosciuti. In particolare il nostro territorio che ha delle punte di diamante come la Cascata delle Marmore, Piediluco, Carsulae e la Valnerina, può divenire un esempio di programmazione turistica differenziata e di qualità che coordini le varie eccellenze, che includa percorsi alternativi, luoghi di nicchia, destinazioni ritenute minori, ma altrettanto affascinanti. Spetta agli operatori culturali, ai politici e a tutte le professionalità del settore progettare e valutare i nuovi paradigmi perché il viaggio risulti stimolante, interessante, confortevole, sicuro.
Dunque ripartiamo: “per aspera ad astra”. Ma ce la faremo.
È con queste riflessioni che vi do appuntamento a Settembre con l’augurio che il sogno divenga realtà.
Loretta Santini