OVVERO LA SOMALIA ITALIANA VISTA CON GLI OCCHI DI ALIGHIERO MAURIZI
In questi ultimi mesi, nella trasmissione televisiva “Passato e Presente”, curata e diretta da Paolo Mieli, è stato affrontato il tema del Colonialismo Italiano negli anni ’50, a guerra conclusa. L’argomento mi aveva incuriosito per un paio di ragioni. Una di queste è la convinzione comune che il fenomeno del Colonialismo appartenga al periodo che precede la guerra e che trovi la sua definitiva conclusione a metà degli anni Quaranta, con la fine del Fascismo e della guerra.
Nella realtà, molti Paese europei facevano fatica a distaccarsi del tutto dalle Colonie. Penso alla Francia e alla sanguinosa guerra in Algeria, penso alla Gran Bretagna e alla volontà di mantenere rapporti culturali ed economici con molte delle sue colonie. Hong Kong viene restituita alla Cina nel 1997.
Con il Trattato di Pace del 1947, l’Italia perse tutte le sue Colonie ad eccezione però, della Somalia, posta sotto l’Amministrazione Fiduciaria Italiana (A.F.I.S.), per conto dell’O.N.U. nel 1950.
Tutti i partiti furono favorevoli.
Nella trasmissione di Paolo Mieli si affermò che, purtroppo non ci sono documentazioni di questo periodo. Eppure avevo appena finito di leggere il libro “Dune Rosse” di Alighiero Maurizi che racconta la sua esperienza di vita in Somalia durante l’A.F.I.S., nei suoi primi anni di vita.
Il nostro concittadino va in Somalia come insegnante.
Non si ferma a Mogadiscio che gli appare come una città occidentale, vuole conoscere l’Africa dell’immaginario collettivo, quella più profonda e vera e fissa la sua residenza a Chisimaio, piccola città sul mare con alle spalle boscaglie e dune rosse, a 400 chilometri dalla capitale. Insegnava ai bambini, italiani, meticci, somali e indiani. Il corso serale, sino alle 21,00, era dedicato agli arabi che volevano imparare l’italiano.
Era un modo, forse, per aggraziarsi coloro che li amministravano, rifletté Alighiero.
Le scuole erano in mano a due distinti gruppi, quello dell’A.F.I.S. e quello coranico, entrambi ugualmente frequentati.
“Dune Rosse” non è un libro di viaggi, sempre un po’ infido – secondo Moravia – con il cambiare delle prospettive storiche. É un libro, comunque, che ci aiuta a capire il sentimento che i Somali avevano nei confronti degli Italiani, gli usi e costumi di questa popolazione.
Alighiero conosce il rispetto di questa gente nei suoi confronti. Il maestro è un uomo da riverire. Viene invitato ad una festa tribale, l’unica sedia imponente è riservata a lui. Gli uomini ballano in una specie di catarsi collettiva, sino allo sfinimento.
La musica araba è bella, dolce, invita al movimento collettivo.
Una delle pagine più suggestive è la descrizione di una giornata di caccia nella boscaglia insieme a due somali. Si tratta di una esperienza cruenta, lontana anni luce dal sentimento che abbiamo oggi della natura e del rispetto verso gli animali.
Molte sono le cose raccontate.
Alighiero amava fotografare ambienti e persone.
Soprattutto le donne, il loro abbigliamento catturano la sua attenzione, il tentativo una volta di fotografarle provoca quasi una sommossa contro di lui. Le donne musulmane non possono essere fotografate!
Il libro o “libretto”, date le sue dimensioni non vuol essere uno studio sistematico di un popolo e delle sue condizioni, si sente il letterato, soprattutto, il poeta Alighiero Maurizi che a pagine di prosa intervalla liriche che esprimono il suo sentimento.
Anna Maria Bartolucci
“Batte il tamburo cupo nella boscaglia verde.
Ascoltano le belve per un attimo immote.
Fuggono poi veloci negli umidi antri.
Una nenia selvaggia
Urlano le donne seminude raccolte a cerchio e,
capo chino a terra danzano”