DOPO LE SCUOLE MEDIE ALL’ITIS DI TERNI

Superato decentemente l’esame di terza media i miei genitori vollero farmi iscrivere all’Istituto Industriale contro il parere degli insegnanti, in particolare dell’insegnante di lettere, che propendeva per il liceo classico.

Mio padre contadino e operaio armaiolo alla Fabbrica d’Armi dell’esercito di Terni, riteneva giustamente, dal suo punto di vista, che un diploma tecnico mi avrebbe aperto con grandi probabilità l’accesso in una fabbrica, mentre con la maturità classica era necessario fare l’Università e prendere una laurea. E mantenermi all’Università a Roma o a Perugia voleva dire sostenere un costo notevole che col magro stipendio statale paterno sarebbe stato molto problematico. Ci sarebbe stato anche il rischio di non farcela, di aver speso molto denaro col sacrificio dei miei genitori e di ritrovarmi senza un diploma atto a trovare un decente lavoro.

Il corso per perito chimico industriale si svolse come biennio propedeutico per i primi due anni al vecchio istituto di viale Brin e comprendeva i laboratori di falegnameria, di aggiustaggio, di saldatura elettrica e di quella ossiacetilenica. Il lunedì si doveva andare a piedi da piazza Bruno Buozzi (piazza Valnerina), dove era la stazione terminale del tram che scendeva dalla Valnerina, fino alla scuola media di Borgo Rivo per fare ginnastica, passando per la scorciatoia di Villa Palma dove al ritorno consumavamo il pranzo portato da casa in una trattoria della zona. Dopo aver mangiato si tornava a Terni sempre a piedi per tornare alla scuola di viale Brin.

A falegnameria ci insegnavano a fare gli incastri, da quello più semplice a quello più difficile a doppia coda di rondine, mentre in quello di aggiustaggio dovevamo imparare a lavorare il ferro con la lima, producendone un modello perfettamente liscio su ogni parete, se non ricordo male.

Il passaggio dalla scuola di paese a quella di città, compreso il passaggio all’adolescenza, comportò dei problemi. Ci voleva almeno mezz’ora a piedi per andare a prendere il tram e al ritorno almeno il doppio per tornare a casa. C’era stato il terremoto e la scuola aveva tutte le scale puntellate con travi di legno e ogni studente con la sua famiglia aveva contribuito a tale protezione, se non ricordo male. Eravamo in tre per banco e i banchi erano quelli vecchi con annesso sedile a panchina. Eravamo anche troppi per ogni aula e d’inverno l’aria diventava irrespirabile per odori malsani. Nascevano le prime cotte e i primi amori con le coetanee, si studiava poco e male e i risultati si vedevano sulle pagelle trimestrali piene di insufficienze.

A metà anno entrò la vicepreside in classe e chiese a ciascuno di noi, per ordine alfabetico, con quale media avessimo superato l’esame di terza media. Non capivo il perché di questa domanda, visto che al momento dell’iscrizione all’ITIS avevamo consegnato la copia della licenza con i voti. Verso la fine del primo anno scolastico avevo almeno tre insufficienze come il mio compagno di banco e diversi altri. La sorpresa arrivò quando furono affissi i risultati: io promosso e il mio compagno bocciato. Come mai? Mi fu detto che il Consiglio dei professori aveva valutato le stesse insufficienze in modo diverso in base anche alla media dei voti che ciascuno di noi aveva raggiunto all’esame di terza media: io con la media dell’otto e il mio amico con quella del sei. Eppure, quella bocciatura fu la sua fortuna!

Dopo alcuni anni, il padre del mio amico andò in pensione e cedette il suo posto al figlio nella Azienda che pagava molto bene. Conquistato il posto da operaio e successivamente raggiunto il diploma, scattò pure la promozione con notevole balzo di stipendio. A volte non tutto il male vien per nuocere!

Finito il biennio a viale Brin passai al triennio all’ITIS di via Cesare Battisti, un nuovo Istituto tutto moderno con ottime aule, ottimi laboratori e ottimi insegnanti. Col treno da Rieti arrivavano ogni mattina un folto gruppo di studenti a frequentare il triennio che a Rieti non c’era. Ovviamente facemmo amicizia e ci prendevamo pure in giro per i rispettivi dialetti, non sempre comprensibili ma sempre in grado di provocare grandi risate.

Un giorno mentre eravamo tutti nel piazzale di terra battuta antistante l’Istituto, aspettando che il grosso bidello (Cleri?) aprisse i cancelli, un ragazzo che stava arrivando di corsa inciampò e cadde a terra. “Che scoppacciu lu bbardasciu là pper terra! [Che colpo quel ragazzo là per terra] Esclamò uno di noi in pieno dialetto ternano. A quella esclamazione tutti i ragazzi reatini scoppiarono a sghignazzare in modo irrefrenabile, buttando le cartelle per terra e tenendosi la pancia con le mani. Appena il riso tentava di affievolirsi, ripetevano la frase in dialetto ternano e giù di nuovo a ridere a crepapelle!

Alcuni giorni dopo toccò a noi ternani rendere pan per focaccia. Un reatino che faceva il compleanno aveva portato in classe un dolce e una bottiglia di liquore invitando tutti a festeggiare, compreso un suo collega che si chiamava Sabatino. Ma Sabatino tergiversava sembrando che volesse allontanarsi. “Sabbaì, do ba? Se bo be bi se non bo be battene!” [Sabatì, dove vai? Se vuoi bere bevi, se non vuoi bere vattene] Esclamò il festeggiato. E a quella frase scoppiammo tutti noi ternani a ridere a crepapelle e a ripetere la frase come matti!

Vittorio Grechi