DONNE E LIBERTÀ

Nel vasto panorama della rappresentazione delle donne che vanno dalla finzione letteraria alla vita di tutti i giorni ci sono tantissimi casi, veri o virtuali che siano, di donne che adottano un’identità maschile per motivi di necessità.
Donne che hanno vissuto in epoche e situazioni in cui si sono sentite in qualche modo “costrette” a nascondere la propria identità femminile o addirittura a travestirsi da uomini al fine di perseguire la libertà di vivere la vita che desideravano e inseguire i propri sogni, come le sorelle Brontë che per timore dei pregiudizi che allora esistevano nei confronti delle donne, si firmarono con uno pseudonimo maschile.

La pratica nota come “travestimento di genere” o cross-dressing, in inglese, ha radici profonde. Tocca la mitologia ed il folclore, la letteratura, la musica, il teatro, il cinema, la televisione e, appunto, anche la realtà.
Alcuni esempi letterari noti sono in “Come vi piace” di William Shakespeare, dove il personaggio di Rosalind si traveste da uomo per navigare le complessità dell’amore e della società, o in “Orlando” di Virginia Woolf, in cui il protagonista cambia sesso durante la sua lunga vita, esplorando i diversi ruoli di genere con il passare dei secoli.

Oggi, nella realtà, questa pratica è attuata in contesti di restrizioni culturali e sociali che limitano drasticamente le libertà delle donne. Un esempio eclatante è rappresentato dalle donne iraniane che hanno fatto ricorso al travestimento maschile per poter assistere a una partita di calcio. Azione chiaramente provocatoria che evidenzia le disuguaglianze nell’accesso ai diritti e sottolinea quanto lunga sia ancora la strada verso la parità di opportunità nel loro Paese.

Queste mie riflessioni nascono dall’aver recentemente letto “Le bambine non esistono”, libro autobiografico, particolarmente crudo sulla condizione femminile in Afghanistan, dove si racconta la vita di Ukmina Manoori.
Undicesima dopo 7 figlie femmine e 3 maschi morti in culla, nata in un’area rurale dell’Afghanistan e cresciuta in una società altamente conservatrice e restrittiva dove è usanza diffusa (e “tollerata” dai mullah) che una famiglia senza figli maschi possa crescere una bambina come fosse un maschio; tale pratica è loro concessa solo per salvare l’onore degli uomini e scongiurare la malasorte (di avere altre figlie femmine!) sui figli futuri. Le bambine, come lo era una volta Ukmina, che diventano per la società bambini, vengono chiamate bacha posh, ovvero “bambine vestite da maschio” e in virtù di questa semplice decisione di suo padre, Ukmina si è trovata catapultata in un mondo sconosciuto alle donne afgane e ha avuto molte delle libertà riservate agli uomini potendo comprendere appieno quale prigionia sia nascere donna nel suo paese. Grazie al suo travestimento ha avuto accesso ad opportunità che altrimenti le sarebbero state negate, ha potuto lavorare, essere eletta e muoversi liberamente. Particolarmente vere le sue parole: “la libertà […] sono le donne che hanno realizzato i loro desideri e i loro talenti, che hanno trasformato la fortuna di essere nate nel posto giusto al momento giusto in qualcosa di utile. Le donne che sono riuscite a realizzarsi, cosa che a noi afgane non è concessa. A meno di imbrogliare”. Un inno ad impegnarsi e a far valere le proprie ragioni di indipendenza e autodeterminazione. “Se la donna ha il diritto di salire sul patibolo, deve avere pure quello di salire sul podio” Olympe de Gouges, Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina, anno 1791.

Alessia Melasecche