
L’Unione Europea è intervenuta per cercare di mettere fine alla cultura dell’“usa e getta” con una nuova direttiva che sancisce, tra le altre cose, il diritto alla riparazione per i consumatori. Entrata in vigore il 30 luglio 2024, la normativa dovrà essere recepita dagli Stati membri entro il 31 luglio 2026. L’obiettivo? Rendere più semplice ed economico riparare i beni di consumo, contrastare l’obsolescenza programmata, ridurre i rifiuti elettronici e scoraggiare le pratiche commerciali sleali.
La direttiva UE impone ai produttori l’obbligo di offrire servizi di riparazione anche dopo la scadenza della garanzia legale. Questo significa che prodotti di uso quotidiano come lavatrici, smartphone, televisori, etc. dovranno poter essere riparati senza che i consumatori siano costretti a sostituirli prematuramente. Un elemento chiave è l’introduzione di un modulo informativo standardizzato, che permetterà ai clienti di confrontare prezzi e condizioni di riparazione in modo trasparente. Inoltre, sarà creata una piattaforma online per mettere in contatto gli utenti con riparatori locali e negozi di prodotti ricondizionati, facilitando l’accesso alle soluzioni più convenienti e sostenibili.
Quindi, se la lavatrice smette di funzionare poco dopo la fine della garanzia, non saremo più costretti a sostituirla, la normativa garantisce che potremo farla riparare a prezzi trasparenti, con accesso ai pezzi di ricambio originali e una rete di tecnici qualificati. Questo non solo ridurrà le spese per i consumatori, ma contribuirà anche a limitare la montagna di rifiuti elettronici prodotti ogni anno.
Secondo la Commissione Europea, ogni anno nell’UE vengono generati circa 35 milioni di tonnellate di rifiuti elettronici. Inoltre, i consumatori spendono circa 12 miliardi di euro per la sostituzione di apparecchi che potrebbero essere riparati. La direttiva ha quindi un duplice obiettivo: far risparmiare i cittadini e ridurre l’inquinamento.
Ci sarà anche una stretta sulle pratiche commerciali sleali: al bando slogan come “ecofriendly”, “naturale”, “biodegradabile”, se non supportati da prove riconosciute da autorità pubbliche. E sulla proliferazione di marchi di sostenibilità, che dovranno basarsi su sistemi di certificazione approvati o creati da autorità pubbliche. Secondo uno studio realizzato dall’UE nel 2020, il 53% delle dichiarazioni ambientali fatte dalle aziende sono state “vaghe, fuorvianti o infondate”.
L’estensione della vita utile dei prodotti non solo riduce gli sprechi, ma permette anche di limitare l’estrazione di materie prime rare in alcuni casi necessarie per la produzione degli apparecchi tecnologici, spesso estratte in condizioni di sfruttamento. Inoltre, un’economia basata sulla riparazione può creare nuovi posti di lavoro nel settore della manutenzione e del ricondizionamento, favorendo una crescita economica sostenibile.
Non mancano, tuttavia, le criticità. Alcuni produttori temono che l’obbligo di offrire riparazioni a lungo termine comporti un aumento dei costi di produzione e la necessità di riorganizzare la logistica dei pezzi di ricambio. Inoltre, le associazioni di riparatori indipendenti chiedono l’accesso garantito ai componenti originali, per evitare che solo le aziende produttrici possano effettuare gli interventi, limitando la concorrenza.
La direttiva UE sul diritto alla riparazione rappresenta una svolta verso un modello di consumo più sostenibile, ma ora spetta agli Stati membri trasformare questa normativa in legge nazionale per consentire concretamente ai consumatori europei un reale diritto alla riparazione e un futuro più verde e sostenibile.
Alessia Melasecche