Viviamo in un mondo che cambia
C’era una volta un mondo. Per come siamo strutturati noi umani, nella percezione del mondo in cui viviamo in linea di massima tutto sembra rimanere lo stesso di ciò che vediamo dalla nascita. Tranne alcune eccezioni, legate a fenomeni naturali che si esplicano in archi di tempo brevi, nella sostanza nulla sembra cambiare.
È davvero tutto qui?
Che tipo di conoscenza abbiamo del nostro ambiente di vita?
Disponiamo di sufficiente consapevolezza dei meccanismi che lo animano e mantengono “in piedi”?
Se riflettiamo per un attimo sulla natura dei nostri organi di senso principali, con i quali quotidianamente, automaticamente e senza pensarci scandagliamo l’ambiente, possiamo farci un’idea. Il nostro senso della vista ci consente di elaborare una gamma piuttosto ristretta di lunghezze d’onda della luce. Le radiazioni visibili dall’occhio umano si collocano in una fascia minima dello spettro elettromagnetico e, di fatto, non siamo in grado di percepire colori compresi nelle lunghezze d’onda poste oltre il limite dell’infrarosso né in quello dell’ultravioletto. Ciò vale anche per altri animali che pur eccellendo per un verso risultano carenti da un altro.
Abbiamo conoscenza, ad esempio, delle ampie possibilità di alcuni uccelli o insetti in grado di percepire iridescenze per noi impossibili, come anche delle forme di daltonicità del cane.
Insomma ad ognuno il suo.
Per quanto concerne l’udito, la gamma delle frequenze percepibili come suoni dall’orecchio umano non si colloca al di sotto del limite degli infrasuoni né in un definito limite opposto della gamma degli ultrasuoni. Lo stesso vale per gli odori che l’uomo percepisce attraverso un sottile strato di cellule sensibili, posto all’interno del naso e detto Epitelio olfattivo grande 5 o 10 cm2. Questo organo, come fosse la “retina del naso”, ha una sensibilità definita e non troppo ampia rispetto alla capacità di altri organismi viventi. Con l’organo del tatto invece, sostanzialmente con i polpastrelli posti sulla punta delle dita delle mani, percepiamo un ampio macrocosmo di elementi materiali da una certa dimensione in su ma, in realtà, non abbiamo il benché minimo sospetto della reale composizione di questa materia.
Soltanto grazie agli strumenti tecnologici sappiamo essere composta da un vastissimo micromondo fatto di molecole, atomi e particelle subatomiche sempre più piccole. Ma allora, dei “tanti mondi” esistenti quale percepiamo? La nostra visione generale è così limitata?
Qui entra in gioco un elemento particolare che ci pone su un piano assolutamente differente rispetto a “tutti gli altri”.
La struttura del nostro cervello ci consente, attraverso un’elaborazione molto raffinata delle componenti ambientali e grazie anche ad una straordinaria attitudine allo sviluppo tecnologico, di ampliare a dismisura la capacità di percezione sensoriale, proprio attraverso l’analisi scientifica. Questo ci dà la facoltà di percepire l’ambiente in modo esclusivo e particolarmente approfondito e, di fatto, è una metodologia di conoscenza dell’ecosistema mai riscontrata in precedenza nel panorama biologico terrestre. Ma quanto sfruttiamo questa nostra unicità?
L’ambiente in cui viviamo ci parla di continuo. Ci racconta del suo stato di salute, di quanto sia pesante l’impatto delle nostre attività sui suoi equilibri. Ci manda messaggi dal passato sul suo meccanismo di funzionamento. Saper decifrare questi messaggi è per noi fondamentale poiché per vivere in un contesto ultrasensibile alle nostre attività, senza subirne le conseguenze dei cambiamenti dinamici indotti, è indispensabile conoscerne il funzionamento. Il mondo intorno a noi pullula di testimonianze in grado di suggerirci le modalità di modifica continua degli ambienti dandoci la possibilità di confrontare antiche realtà con quella attuale, capire cosa è cambiato e soprattutto perché.
La scienza con i suoi metodi di indagine consente di raccontare storie di mondi passati, autentici frammenti di realtà scomparse. Alcune così affascinanti da stuzzicare la fantasia specialmente dei più piccoli ma non solo. Prendiamo, ad esempio, la realtà dei Dinosauri.
Tralasciamo l’irreale processo di mitizzazione e consideriamo i fatti reali, in base alle più recenti analisi scientifiche. Sono stati un nutrito gruppo di animali adattati esclusivamente alla terraferma e vissuti per centinaia di milioni di anni. Le numerose forme, di tutte le dimensioni, succedutesi nel tempo occuparono i più disparati ambienti fino a che, quelle della fine del periodo Cretaceo circa 66 milioni di anni fa, furono coinvolte in una delle più importanti estinzioni di massa note. Ma questa è solo una parte della storia. Molto tempo prima, nel Giurassico, un gruppo di Dinosauri acquisì caratteri misti fra rettili e uccelli: nonostante l’assenza di sterno carenato, ossa piene e pesanti inadatte al volo, coda ossea, avevano il corpo ricoperto di penne come gli uccelli.
Se agli inizi del 1900 tali evidenze destavano sconcerto oggi, grazie alle scoperte paleontologiche degli ultimi decenni, la scienza ha chiarito questa importante tappa evolutiva. Il tentativo di conquista dell’ambiente aereo da parte dei rettili volanti (come gli Pterosauri), estranei alla linea evolutiva degli uccelli, fallì 66 milioni di anni fa con l’estinzione. Nello stesso tempo l’evoluzione di un gruppo di piccoli Dinosauri aveva dato il via all’emergere degli uccelli. Oggi gli studiosi considerano gli uccelli dei dinosauri volanti a tutti gli effetti.
C’era una volta un mondo, 70 milioni di anni fa, dominato dai rettili. C’era una volta un mondo, oggi, dominato da oltre 5.500 specie di mammiferi, fra cui la nostra, e oltre 10.500 specie di uccelli.
L’era dei Dinosauri non è ancora finita.
Enrico Squazzini
Centro Ricerche Paleoambientali di Arrone