DIAGNOSI PRENATALE INVASIVA E NON INVASIVA

Parlando di diagnosi prenatale dobbiamo innanzitutto informare la coppia che ci sono due opzioni: una diagnosi invasiva (amniocentesi e villocentesi) che ci può dare la certezza del cariotipo fetale, ma è gravata da un rischio d’aborto, e una diagnosi non invasiva (Test Combinato e NIPT) priva di rischi per il feto e per la mamma, che stima un rischio di anomalia cromosomica, che però non è diagnostica come l’amniocentesi.

Il Test Combinato viene eseguito attraverso un prelievo di sangue e un’ecografia. Il prelievo può essere effettuato già a partire dalla 11a settimana di gravidanza. Consiste nella misurazione della concentrazione nel sangue materno di due ormoni, la frazione beta della gonadotropina corionica umana e la PAPP-A, o proteina A plasmatica associata alla gravidanza.

L’ecografia o misurazione della TRANSLUCENZA NUCALE, un esame ecografico non invasivo e del tutto innocuo per il nascituro, consiste nella misurazione dello spessore del tessuto sottocutaneo che si trova sulla nuca del feto, ovvero lo spazio compreso tra la cute e la colonna vertebrale. Questo esame permette di stimare con buona approssimazione il rischio genetico per una determinata gravidanza e quindi la probabilità che il piccolo sia affetto da una delle più diffuse alterazioni cromosomiche: la sindrome di Down, la trisomia 13 e la trisomia 18. Non è ovviamente un esame diagnostico.

Sempre tra le indagini non invasive abbiamo il NIPT (test di screening prenatale non invasivi). Questo test, attraverso un prelievo di sangue materno, analizza i frammenti di DNA libero fetale (cell-free DNA o cfDNA) presenti nel sangue materno durante la gravidanza al fine di fornire un’accurata panoramica dello stato cromosomico del feto che può avere un grande impatto sulla sua salute. Questo test non è ovviamente equiparabile all’amniocentesi, ma rientra nelle metodiche non invasive che quindi non espongono la donna al rischio di aborto.

Tra le tecniche invasive abbiamo la VILLOCENTESI e l’AMNIOCENTESI. La prima prevede il prelievo di villi coriali, a partire dalla 11a settimana, e su tale materiale viene eseguito lo studio del cariotipo fetale. Si esegue su precisa indicazione medica quando magari ci sia stata già una precedente anomalia cromosomica in anamnesi o se ci sono particolari fattori di rischio nella coppia di malattie cromosomiche.

La seconda, cioè L’AMNIOCENTESI, infine, che consente di effettuare un prelievo di liquido amniotico direttamente dalla cavità uterina. Questo liquido contiene in sospensione alcune cellule fetali, che, poste in un appropriato terreno di coltura, vengono fatte crescere in vitro e poi studiate nel loro assetto cromosomico o nel loro DNA.

Il periodo ideale per eseguire l’amniocentesi è tra la 16a e la 18a settimana. Il rischio di aborto connesso all’amniocentesi si aggira intorno allo 0.2-0.5 %.
La scelta del metodo di indagine deve essere, ovviamente, accuratamente discusso con il proprio ginecologo.

DR.SSA GIUSI PORCARO
Specialista in Ginecologia ed Ostetricia

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