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DALLE ALPI AL TAROCCO: IL VALICO DEL FAKE IN ITALY

Il 15 aprile si è celebrata la prima Giornata Nazionale del Made in Italy e l’8 e il 9 aprile un gruppo di manifestanti, capitanati da Coldiretti, ha presidiato il valico del Brennero per denunciare l’ingresso di prodotti alimentari stranieri spacciati come nostrani.

Nei tir in transito hanno trovato cosce di maiale provenienti dalla Danimarca destinate
a diventare prosciutti dop del veronese, patate tedesche, precotte e gratinate, che un’azienda di Crotone spaccia come prodotto tipico della Sila, carciofi africani pronti per essere rivenduti come coltivati a Brindisi… non è che in Puglia i carciofi manchino, solo che bisognerebbe pagare le aziende locali che non possono ricorrere, per legge, a prodotti chimici e fertilizzanti che in altri paesi garantiscono raccolti più convenienti e meno salutari; poi, perché un carciofo tunisino, per arrivare a Brindisi, passi per le Alpi austriache è un altro discorso, si vede che qualche clan ha interesse a far salire il prezzo del prodotto facendolo viaggiare per mari e per monti, lucrando sulla spedizione; quello che conta è il denaro che il carciofo ha spostato, non il suo prezzo finale.

Stesso discorso per la merce trasportata in un altro tir, l’avocado del Sudafrica spedito dalla Moldavia. Gli avocado viaggiano per mare in celle refrigerate a cinque gradi, vengono scaricati in Spagna e in Olanda e restano per settimane a maturare in celle riscaldate con
gas speciali. Come e perché l’avocado sia arrivato in Italia dopo una sosta in un’ex repubblica sovietica sita tra l’Ucraina e la Romania non si sa, forse fa lo stesso giro dei carciofi africani.
Esiste però anche l’avocado made in Italy: dei coltivatori siciliani hanno scoperto che il frutto attecchisce bene alle pendici dell’Etna, ne producono modiche quantità e diverse varietà che, di sicuro, non viaggiano per mesi prima di arrivare al consumatore.

Con il blitz al valico del Brennero, Campagna Amica e Coldiretti hanno lanciato una raccolta di firme (#nofakeinitaly) per promuovere una proposta di legge europea sulla trasparenza del cibo che arriva sulle tavole italiane.

Il problema del falso made in Italy riguarda anche l’estero, infatti è molto probabile che un tedesco comperi, in un supermarket di Monaco, una bella “mortadela” confezionata in Baviera, pensando che sia italiana. È la truffa dell’italian sounding, ovvero delle parole
che suonano come italiane con cui giocano abilmente certi marchi, dal parmesan nordamericano alla salsa pomarola argentina, dal Parma Salami messicano agli spagheroni olandesi e al Kressecco tedesco.

Per tutelare la nostra cultura alimentare sarebbe opportuno promuovere la conoscenza della nostra lingua all’estero, l’italiano dovrebbe essere considerato un patrimonio culturale con un grande potenziale economico, visto che basta una parola che sembra italiana inserita nell’etichetta per far vendere di più un prodotto.

Francesco Patrizi

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