Dal fiume Whanganaui al fiume Nera : quando gli spiriti delle acque hanno dei diritti.

Lo scorso 30 gennaio, la Nuova Zelanda ha riconosciuto lo status giuridico del monte Taranaki Mounga, a cui sono stati concessi gli stessi diritti di un essere umano. Non è la prima volta in Nuova Zelanda che un elemento naturale acquisisce dei diritti. Già nel 2014 il parco Ta Urewera e nel 2017 il fiume “Whanganaui” avevano ricevuto lo stesso riconoscimento.  In ognuno dei tre casi, l’obiettivo delle lotte per la personalità giuridica non era solo la tutela ambientale utilitaristica e antropocentrica, ma quello di inquadrare la tradizione giuridica occidentale all’interno di una prospettiva animista e biocentrica, in cui le entità naturali hanno un valore spirituale, prima che materiale. Nel caso del fiune Whanganaui, la legge, voluta dai movimenti indigeni Maori, introduce nel diritto comune la concezione maori del fiume come uno “spirito”, un “tupua”, da cui il nome della legge: Te Awa Tupua.

La norma, tuttavia, è ancora lontana dal rispecchiare il vero rapporto tra i Maori e il fiume. Occorre fare uno sforzo immaginativo per comprendere il vero legame di questo popolo con le entità naturali. Un “tupua” è un essere che viene dal regno degli antenati (Te Po). Allo stesso modo, un “awa” (fiume) non è un individuo, ma una comunità vivente di pesci, piante, persone, antenati e acqua legati da una relazione genealogica ancestrale (“whakapapa”). In questo caso un concetto giuridico occidentale tutela la sacralità di un elemento naturale, seppur rimanendo estraneo ai valori ancestrali autoctoni.

Tale fenomeno si inserisce in un contesto di lotte politiche guidate da etnie colonizzate del cosiddetto “Global South”, le quali in America Latina hanno portato al riconoscimento costituzionale dell’“animismo indigeno”, trasformando la concezione sacra e spirituale della natura tipica dei popoli originari in uno strumento di tutela legale. Tale modello ha condotto al riconoscimento della personalità giuridica della natura, sotto il nome di “Pachamama” nella Costituzione dell’Ecuador, paese che insieme alla Bolivia costituisce il miglior esempio in America Latina riguardo la protezione dei diritti ambientali.

Nel 2022, tale modello ha raggiunto anche l’Europa, in particolare il Mar Menor, una laguna costiera in Spagna che, a seguito di numerosi sforzi delle comunità locali, ha acquisito personalità giuridica, seppur senza credenze ancestrali alla base del processo.

A livello globale simili esempi sono numerosi, particolarmente in riferimento agli ecosistemi acquatici, la cui crescente tutela fa parte di una risposta globale alle stringenti minacce della crisi climatica ormai sotto gli occhi di tutti.

In Europa, dopo le politiche del Green Deal, da Gennaio 2023 stiamo assistendo alla nascita del nuovo Blue Deal europeo, un’iniziativa promossa dal Comitato Economico e Sociale Europeo (CESE) per l’allineamento di tutte le politiche dell’UE con una nuova strategia per la protezione degli ecosistemi e della biodiversità e il riconoscimento dell’acqua come diritto umano fondamentale.

E’ un processo interessante da osservare, soprattutto dal punto di vista di Interamna Nahars, la città tra i fiumi. In città conosciamo bene il valore che l’acqua ha rappresentato nella storia di Terni. Lungo tutto il percorso del fiume Nera i popoli nella storia hanno imparato a convivere con l’acqua, a convogliarla, farla fluire, trasformarla in energia, ma mi chiedo se oggi possiamo davvero dire di aver compreso il legame intrinseco che abbiamo con questo “oro blu”.

La congiuntura storica ci chiede di riconoscere il valore di ciò che è essenziale per la nostra sopravvivenza, distinguendolo da ciò che è superfluo.

Seguendo il flusso globale delle lotte per un nuovo diritto naturale, credo che non sia troppo ambizioso immaginare Terni come una città all’avanguardia, in cui una comunità di guardiani degli ecosistemi riesca a conferire alla Valle del Fiume Nera, personalità giuridica e il diritto di esistere in quanto fonte insostituibile di vita.

In un momento in cui fatichiamo come città ad individuare la nostra identità, e come società a riconoscerci in dei valori, sarà proprio calandoci nelle profondità delle congiunture sotterranee dei corpi acquiferi, tornando ad ascoltare l’anima del fiume “Nar”, delle Sibille della Valnerina, o lasciandoci ispirare dall’amore tra Nera e Velino, che ci potremo sentire di nuovo a casa.

Francesco Scaccetti