CLIMA

DALLA RESPONSABILITÀ AL DISIMPEGNO

Una domanda interroga in questo periodo gli scienziati mondiali del clima: è sfumato l’obiettivo di tenere l’aumento della temperatura media del pianeta entro 1,5 gradi? E, se è saltato, quale sarà il nuovo limite e con quali effetti sulla biosfera che ci ospita?

Tale obiettivo, fondamentale, per contenere lo scatenarsi degli eventi estremi, come alluvioni, uragani, siccità e perdita di suoli agricoli, scioglimento di ghiacci perenni e del permafrost, innalzamento continuo dei mari e loro acidificazione, era stato condiviso da 195 Stati del mondo, a Parigi nel 2015-2016.

Solo un piccolo gruppo di paesi non aveva aderito: Angola, Eritrea, Iran, Iraq, Sud Sudan, Turchia e Yemen. Un gruppo di nazioni dove, non è un caso, la democrazia è debole o non esiste. Poi nel 2019 sotto la presidenza di Trump, gli Stati Uniti uscirono, inopinatamente, dall’Accordo di Parigi. Una scelta tragica per il ruolo di riferimento che gli USA hanno a livello internazionale e, in particolare, per tutta un’area d’influenza, cui anche l’Unione europea appartiene; scelta assurda, anche per il fatto che, da soli, gli USA, emettono il17 % di tutte le emissioni climalteranti del mondo, pur avendo una popolazione pari, solo, al 4,1% di quella totale. Sotto la presidenza Obama gli Stati Uniti si erano impegnati a ridurre del 30% le emissioni di CO2, entro il 2030. Con Trump, questo impegno solenne era stato cancellato.

Poi l’amministrazione Biden aveva deciso di rientrare nell’accordo di Parigi, dopo un blocco di quattro anni delle azioni USA per il clima. Ora, di nuovo eletto, Trump si propone di uscire di nuovo dagli accordi internazionali sul clima, cioè di boicottarli, mettendo a rischio la possibilità stessa di fronteggiare la crisi climatica, diventata, ormai, presentando una drammatica emergenza epocale. Si sta di nuovo creando un clima d’incertezza ed allarme, fra gli scienziati del clima e fra tutte le persone consapevoli del rischio estremo che la civiltà umana sta correndo e dei drammi che, noi contemporanei, stiamo “apparecchiando” a danno delle future generazioni.

Una incertezza ed una preoccupazione palpabile che si respira a Baku, in Azerbaijan, dove e in corso la COP 29, dell’ONU, sul clima, ovvero il più grande appuntamento mondiale sul tema del riscaldamento del pianeta e su cosa fare per fermarlo.

In questa “Conferenza delle Parti”, 2024, come in quella precedente svoltasi a Dubai, negli Emirati arabi, il peso e le ingerenze dei paesi petroliferi e delle grandi compagnie dei combustibili fossili si sono fatte fortissime e condizionanti gli stessi esiti finali della conferenza. Invece di andare avanti, con coraggio e determinazione, sulla transizione ecologica, si sta tornando indietro, con danni e rischi incalcolabili per l’Umanità, a partire dalla sua parte più povera e fragile. Quella incolpevole per le emissioni e che vive di una economia agricola di sopravvivenza.

Paesi che aspettano venga onorato l’accordo di Parigi, laddove dice che: «I paesi sviluppati devono fornire risorse finanziare per assistere i paesi in via di sviluppo sulla mitigazione e l’adattamento». La scelta americana, di disimpegno, è perciò molto grave, anche per il colpo inferto al multilateralismo, cui affidare, con la pace e la cooperazione, i destini dell’Umanità.

La sfida esiziale del clima può essere affrontata, seriamente ed efficacemente, solo in un clima di condivisione globale delle grandi scelte, per far procedere rapidamente la transizione e non certo dentro gli attuali rigurgiti della politica muscolare, minacciosa, di potenza e di guerra.

E l’Europa? La sua voce si è sentita poco e male a Baku, nel corso dei lavori della COP 29; il rappresentante europeo ha proposto 200 miliardi di dollari, di aiuti ai paesi poveri del Sud del mondo a fronte di una loro richiesta di 1.600 miliardi di dollari.

Per l’Italia, la sua voce non si è sentita affatto, durante i lavori della Conferenza; Però parlano i dati della “pagella ONU”, su quanto i vari paesi stanno facendo, a casa loro, per mitigazione e adattamento ai nuovi fenomeni meteo-climatici; Secondo il Climate Change Performance Index, l’Italia è «in forte ritardo sulle performance climatiche». Siamo al 43esimo posto nel mondo, e nella parte bassa della classifica dei paesi del’Ue. Serve un cambio di consapevolezza e di passo, verso la responsabilità.

Giacomo Porrazzini