Ormai tutti sappiamo che entro i prossimi trenta anni, se vogliamo evitare il collasso delle condizioni climatiche che rendono possibile la vita umana sul pianeta e la continuità della civiltà, le emissioni di gas che provocano il riscaldamento del pianeta, come CO2 e metano, debbono essere drasticamente ridotte, a partire da un taglio di almeno la metà nei prossimi 10 anni.
Nessuno può chiamarsi fuori da tale impegno, ma, lo sforzo proporzionalmente maggiore dovranno farlo coloro che emettono di più e che perciò hanno “una impronta ecologica” più vasta e profonda. I vari settori delle attività economiche e civili sono tutti chiamati a fare la loro parte.
Sulle emissioni climalteranti, nei paesi europei, l’energia pesa per il 77%, l’industria per il 9%, l’agricoltura per il 10%, i rifiuti per il 3%. Nella quota delle emissioni dovute all’uso di energia da fonti fossili, come carbone, petrolio e gas, è compresa anche quella del riscaldamento e condizionamento di abitazioni, uffici ed edifici per le attività produttive: copre una quota del 38% di quella relativa all’energia, ovvero il 29% in assoluto. Da questo dato si comprende come anche il settore delle abitazioni non possa essere escluso dalle misure di decarbonizzazione.
L’unione europea ha approvato, con l’opposizione del governo italiano e dei rispettivi europarlamentari di destra, una grande direttiva per rendere gradualmente, più sostenibile, climaticamente, il parco immobiliare europeo.
Naturalmente occorre intervenire con urgenza sulle nuove costruzioni, da rendere neutrali per gli effetti sul clima, ma è indispensabile intervenire, con misure di adeguamento graduali, anche sul patrimonio edilizio esistente. La gradualità nell’applicazione nazionale di tali disposizioni in favore delle costruzioni “green”, non deve riguardare solo il fattore tempo, con lo scivolamento, fino al 2040, per gli adattamenti di classe energetica degli immobili, ma anche quello sociale, in rapporto alla condizione economica e sociale dei proprietari chiamati ad investire per adeguare le abitazioni ed altri edifici alla nuova normativa.
Chi ha una impronta ecologica inferiore dovrà poter godere di agevolazioni pubbliche, per la corretta realizzazione delle ristrutturazioni energetiche necessarie. Si dovranno evitare, per i nuovi adeguamenti, gli errori iniziali più evidenti dei superbonus 110%: erogare i contributi pubblici a prescindere dalle condizioni di reddito e patrimoniali dei richiedenti; reperire le risorse necessarie dall’aumento del debito pubblico.
Chi dovrà adeguare l’abitazione ai nuovi standard dovrà godere di un contributo proporzionato alla ricchezza posseduta e le risorse pubbliche necessarie potranno essere ricavate da una tassazione di scopo, con aliquote molto progressive. Se non si affronta con una capacità di selezione sociale questa grande sfida per una casa climaticamente sostenibile, vinceranno coloro che, con scarso senso di responsabilità, aizzano, indistintamente, la proprietà immobiliare e i costruttori contro “la stangata europea” sulla casa.
Il gruppo di scienziati dell’Agenzia europea dell’ambiente, nei giorni scorsi ha segnalato la distanza crescente tra gravità ed urgenza dell’emergenza climatica e la sua percezione sociale, proprio nei paesi mediterranei dell’Unione che saranno i più colpiti dagli effetti del cambiamento in atto, con alluvioni, siccità, inondazione delle coste marine, diffusione di malattie tropicali; l’Italia tra di essi, come ha dimostrato il voto contrario italiano sulle norme europee per la casa green e sostenibile. L’esempio, si dice, dovrebbe venire dall’alto.
Da noi, è stato deludente.
Giacomo Porrazzini