…era il grido corale e festante di un pubblico di ragazzotti, accolto con intima soddisfazione da famigliole e anziani che, le sere d’estate, riempivano le arene parrocchiali, adibite a cinema.
I film più graditi e meno censurati erano i western.
Quei soldati in giubba blu, approdati su terre altrui per averne un qualche diritto di proprietà, riscuotevano tutto il sostegno di chi vedeva in loro l’uomo forte civilizzato che a pieno diritto dovesse prevalere su l’essere “primitivo” e, per di più, con la faccia ”rossa”.
Quei ragazzotti non erano sul campo di battaglia, ma si agitavano come se lo fossero, istinto primordiale che riemerge dalle viscere dell’uomo fino a soffocare ogni barlume di razionalità.
Si chiama “cultura” lo stile di vita, l’atteggiamento che si ritiene approvato da tutti, che ti dà la rassicurante sensazione di appartenenza al gruppo sociale che tu stabilisci essere superiore a qualunque altro perché così ti hanno insegnato.
L’ovazione che gli spettatori riservavano allo sterminio di intere tribù era la conseguenza di una cultura che, nello spaccato storico del tempo, aveva visto con enfasi la colonizzazione,
da parte dell’Italia, di terre altrui da conquistare per equiparare la nostra potenza a popoli vicini che avevano già fatto il “pieno” in Africa e in Asia.
Allora, con i pellerossa, non ci furono motivazioni politiche, religiose che “giustificarono” tanti massacri, non si decise di sterminare per conflitti covati nel tempo, ma per appropriazione indebita, per bisogno di possesso annidato da sempre nella zona più oscura
dell’essere umano.
È così che l’uomo rinnega il lunghissimo percorso evolutivo; l’istinto animale, mai scomparso, viaggia con lui. I nativi che sopravvissero dovettero dimenticare gli spazi infiniti, essere “recintati” in squallide riserve.
L’ho viste: casette basse, senza anima, qualcuno che sbircia dalla finestra…i turisti sotto osservazione costante della polizia locale pronta a mostrarsi alla vista di una macchina fotografica. Come cambia la visione della vita! La sottomissione al potere impone una revisione culturale per cui l’inaccettabile diventa accettabile, la dignità si confonde con l’opportunità, la cultura che alimenta l’esistenza, si frantuma.
“Arrivano i nostri” scomparve lentamente nel lungo cammino che vide morire un’epoca e ne vide emergere un’altra: le arene parrocchiali tornarono ad essere cortili.
Le piazze, le strade, ogni angolo del mondo, diventò scenario di fanatiche prese di posizione ideologiche, ma anche di costume, ma anche di diritti negati, ma anche di paradossali esaltazioni di supremazia etnica.
Focolai di guerra esplodono un po’ dovunque per motivi che niente hanno a che vedere con l’”umano” genere, niente che sia umano può tollerare morte e distruzione.
E allora occorre cercare le motivazioni in quella parte più oscura e primordiale dell’uomo che lo spinge ad aggredire per competere, per sopraffare, per sottomettere, per appropriarsi degli altrui beni.
Non più “arrivano i nostri”, innocua e festante ovazione di un tempo che fu, ma slogan, urlati e sbandierati per sostenere verità costruite nel tempo a uso e consumo delle parti.
Si è dimenticato o… non si è mai compreso, che, in questa nostra enorme giostra dove ogni istante c’è chi sale e chi scende, non ci sono i nostri perché i nostri siamo tutti, senza distinzione, senza inutili supremazie, siamo tutti noi con un percorso di vita che prevede di morire, ma non di essere ammazzati.
Sandra Raspetti