Aleppo “la più vecchia del Mondo”

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Nonostante tutto, sappiamo ancora molto poco della storia degli uomini. Abbiamo costruito, miti, leggende, religioni per raccontarci e spiegarci a noi stessi, ma su come abbiano fatto gli esseri umani a diventare quello che sono oggi sappiamo davvero poco dal punto di vista scientifico.

La storia comincia quando cominciano le fonti, e le fonti sono prevalentemente scritte, e di conseguenza è molto complicato ricostruire la storia dell’Uomo prima dell’invenzione della scrittura. Esistono altre fonti importanti: manufatti, reperti archeologici, pitture rupestri; ma sono naturalmente di difficile interpretazione, oltre che rari. E tanto più si va indietro nel tempo, tanto più è difficile raccogliere testimonianze di qualsiasi tipo.

L’antropologia riesce a ricostruire dei momenti cruciali: dai primi australopitechi alla comparsa dei primi rappresentanti del genere “homo”: erectus, abilis, sapiens. Ci racconta che veniamo tutti dal cuore dell’Africa, e ci siamo diffusi piano piano in tutte le terre emerse. L’homo sapiens compare forse due milioni, forse solo duecentomila anni fa: pochissimo tempo, se paragonato ai tempi dell’evoluzione del pianeta e della vita; ma un tempo lunghissimo, se paragonato a quanto poco profonda è la nostra conoscenza storica.

Le civiltà più antiche del mondo non risalgono molto oltre i dodicimila anni di storia; la Mezzaluna Fertile di Babilonia, l’antico Egitto; la Valle dell’Indo, alcune regioni della Cina. Ma lo stesso termine “civiltà” è ambiguo: segna il passaggio da una vita primitiva ad una più organizzata; un po’ paradossalmente, visto che la radice etimologica di “civiltà” è la stessa di “città”, la nascita della civiltà è strettamente connessa alla scoperta (o invenzione) dell’agricoltura: quasi come se città e campagna, che sono spesso viste come contrapposte, fossero invece generate insieme, come se discendessero dalla stessa matrice.

Del resto, è logico: per centinaia di migliaia di anni gli esseri umani sopravvivevano solo raccogliendo frutta spontanea, bacche, radici e cacciando piccoli animali: è solo quando qualcuno è riuscito a capire che seminando (con un incredibile atto di coraggio: significava sacrificare del cibo, i semi, nella speranza che la stagione successiva ne sarebbero cresciuti di più) e coltivando si poteva avere una vita migliore. Ma sul pianeta non sono poi tante le zone in cui l’agricoltura poteva essere inventata: ci vuole un clima adatto, e molta acqua disponibile: le regioni dove sono sorte le prime civiltà sono proprio quelle che avevano queste rare caratteristiche.

Gli insediamenti umani, al pari degli uomini, nascono, crescono, e scompaiono. Molte antiche città sono decadute e scomparse sotto i colpi della natura, della sfortuna e della volubilità delle passioni umane. Ma in quelle zone antiche esistono e resistono ancora città antichissime, che possono pertanto vantare il privilegio di dirsi le più antiche città del mondo: con buona pace della tradizione che attribuisce a Roma il titolo di “Città Eterna dall’alto dei suoi quasi tremila anni di vita, esistono città certamente molto più antiche.

Atene, abitata continuamente da settemila anni; e comunque probabilmente superata nella stessa Grecia da Argo, leggendaria patria d’Agamennone. La palestinese Gerico, ricordata quasi sempre solo per le sue mura che la Bibbia dice essere state travolte dal suono delle trombe di Giosuè, e che può vantare forse undicimila anni di vita; stessa età, più o meno, dell’antichissima capitale siriana, Damasco. E, sempre in Siria, grosso modo con pari anzianità -e di conseguenza con pari dignità di avocarsi il titolo di “più antica città del mondo”- Aleppo.

Aleppo, che per tutta l’antichità è stata una delle città più grandi del Medio Oriente; Aleppo, che durante il millennio dell’Impero di Costantinopoli era seconda solo alla sede imperiale e al Cairo, come popolazione e grandezza. Aleppo, che fino a pochissimo tempo fa contava ancora quasi due milioni e mezzo di abitanti.

Gli abitanti di Aleppo oggi sono solo seicentomila, e sono tutti prigionieri. Tutti che anelano di scappare da quello che è diventato un inferno assai peggiore di quello descritto da Dante. La città non esiste quasi più; anzi, esiste ancora ma sarebbe quasi meglio si fosse dissolta davvero, perché quello che della città resta sono solo rovine, disperazione, dolore che si trasmette dalle brecce nei muri devastati alle ferite nella carne dei suoi abitanti prigionieri.

E le bombe cadono ancora, in continuazione. Bombe siriane, dalle città sorelle; bombe russe, occidentali, turche. Bombe d’una guerra quasi incomprensibile, dove ci sono anche truppe americane ed europee. Non si riesce quasi più nemmeno a capire chi combatte cosa, e contro chi.

Se Aleppo è davvero la città più antica del mondo, forse è in questi giorni che la vedremo morire. E se è certo vero che non è l’età d’una città a contare, perché non è certo più lecito cancellare una città moderna rispetto ad una antica, visto che a morire sono sempre gli esseri umani di questi nostri tempi, è forse un po’ più crudele e doloroso vedere cancellare diecimila anni così, senza ragione. Del resto, le guerre una ragione vera non ce l’hanno mai.

Piero Fabbri